Coronavirus, nel circondario pochi ristoratori hanno aderito alla protesta «Io Apro» contro le nuove restrizioni
Molti locali hanno scelto di non aderire alla manifestazione «Io apro», in programma il 15 gennaio come forma di protesta contro il nuovo Dpcm del Governo. Tra questi anche il ristorante San Domenico di Imola. «Noi non abbiamo aderito perché le leggi ci sono e quindi si rispettano – commenta lo chef Massimiliano Mascia -. Questo però non significa che stiamo fermi e subiamo regole che non danno i risultati che dovrebbero dare dal punto di vista sanitario e che stanno mandando a picco la realtà del nostro settore». Rispetto a chi ha scelto di partecipare alla manifestazione, aprendo nonostante le restrizioni, Mascia è comprensivo: «Ognuno ha la sua situazione, più o meno delicata. Non condanno nessuno. Però queste decisioni possono spingere chi deve prendere le decisioni a penalizzare ancora di più il sistema della ristorazione. Un’apertura così non serve: la gente non viene e si rischiano multe».
Lo chef racconta comunque l’intenzione di non stare con le mani in mano. «Insieme a Confartigianato la scorsa settimana abbiamo incontrato il sindaco Panieri – sottolinea -. Lui ci ascolta, c’è un dialogo e un confronto. Gli abbiamo parlato di Tari, occupazione di suolo pubblico, ma gli abbiamo detto anche che servono maggiori controlli, anche se sappiamo che non sono di sua competenza. Si guardi cosa succede nei supermercati e nelle mense. Noi abbiamo chiuso, ma ad altri che danno lo stesso servizio si permette di lavorare senza controlli. Siamo convinti che non siano i ristoranti il male della sanità».
L’appello di Mascia rivolto al Governo è ad un giusto equilibrio. «Non lavoriamo dal 23 dicembre e abbiamo riaperto solo il 7 e l’8 gennaio – denuncia -. Continuiamo a fare il servizio di consegna a domicilio, ma più che altro per tenere i rapporti con i clienti. Andiamo anche molto lontano, fino a Modena, Pianoro, Reggio Emilia. Non ci guadagniamo di certo, ma abbiamo persone che vengono spesso da noi, non possiamo dire di no. Se proprio dobbiamo stare chiusi, almeno ci diano ristori che si possano chiamare così. Quella di oggi non è nemmeno carità, non ce ne facciamo nulla». (mi.ta.)