Coronavirus, la testimonianza di Michele Cafaro (medico Usca per l’Ausl): «Non è vero che i più giovani non si ammalano»
«I giovani non si ammalano delle forme più gravi del Covid-19? Non è così. Proprio nei giorni scorsi abbiamo dovuto inviare in pronto soccorso per accertamenti una ragazza, nonostante fino al giorno prima i sintomi fossero flebili…». Michele Cafaro è uno dei medici Usca dell’Ausl di Imola sin dall’inizio, sin da quella prima ondata convulsa di primavera quando sono state inventate le équipe con medico e infermiere per andare a visitare i pazienti malati di Covid a domicilio, senza correre il rischio di trasformare i tanti medici di famiglia in elementi di contagio. «Surroghiamo un’attività che era prerogativa del medico di medicina generale e siamo trait d’union con il pronto soccorso».
Cafaro ha 38 anni e un contratto per la continuità assistenziale (l’ex guardia medica) con l’Ausl di Imola, per la precisione è il coordinatore della sede di Castel San Pietro. «Ora i medici Usca sono una ventina in tutto, operiamo insieme agli infermieri delle cure domiciliari. Durante l’estate c’era un’équipe al giorno, ora abbiamo oltre 15 segnalazioni quotidiane per ogni sede (Imola, Castel San Pietro e Medicina), 5-6 si traducono in visite domiciliari. Per ogni turno di solito visitiamo 6-7 persone, salvo situazioni complicate. Quando ho iniziato a studiare sapevo che la medicina generale si occupa del routinario e l’urgenza dello straordinario, invece ora l’urgenza è diventata l’ordinario. Io mi auguro per il bene di tutti che si ritorni ai ritmi di una volta. Un pensiero romantico che mi dà anche fiducia nel futuro è pensare di poter raccontare ai miei nipoti che quando c’è stato questo momento straordinario per il mondo il loro nonno c’era e ha fatto qualcosa». (l.a.)
Ulteriori approfondimenti su «sabato sera» del 26 novembre.
Nella foto: Michele Cafaro