100 anni Pci, cosa significa pensare di essere comunisti oggi?
Se Achille Occhetto fosse stato un buon dirigente politico, quel 12 novembre 1989 alla Bolognina avrebbe dovuto dire: «Compagni, chiediamoci cosa significa essere comunisti verso gli anni 2000». C’era stata l’apertura del Muro di Berlino e i paesi del cosiddetto socialismo reale erano in fermento. L’Urss di Gorbachev era alla canna del gas dopo aver inseguito gli Usa nella corsa agli armamenti ed era il momento giusto per fare il punto sul movimento comunista internazionale. Invece il prode Achille aveva la fregola di essere il traghettatore di questa grande forza politica, morale, etica che era il Pci nell’area di governo. Poi ha dovuto soccombere al gatto e alla volpe, Napolitano e D’Alema, e non fu nemmeno eletto segretario alla fine del 19° Congresso! Chiunque fosse il segretario, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, delle varie versioni Pds, Ds ora Pd, nel post Pci stavano tutti allineati e coperti senza alcun senso critico, mentre veniva distrutto il lascito politico di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, sotto la supervisione di Napolitano. Qualche crepa si è avuta con l’egolatra Renzi.
Questa premessa per asserire che dopo le nostre scelte, indotte dalla delusione, da tempo ci siamo posti il problema: cosa significa pensare di essere comunisti, oggi? Riavvolgendo il film siamo arrivati anche a pensare che, viste anche le percentuali del 18° e 19° congresso, forse sarebbe stato meglio costituire una forte corrente comunista all’interno del Pds per tenersi ancorati non alle liturgie o alle nostalgie, ma al patrimonio solidaristico, anticapitalista, antimperialista e senso dello Stato del Pci. La dispersione di quel lascito ha successivamente portato al berlusconismo, al leghismo, al renzismo perché si era di proposito abbandonata l’originalità, la particolarità del Partito comunista italiano, la sua autonomia di giudizio e i suoi ideali costitutivi quali la giustizia sociale, la dignità del lavoro, la libertà, l’uguaglianza, la pace, la solidarietà internazionale. (f.s. n.v.)
Ulteriori approfondimenti su «sabato sera» del 26 novembre.
Nella foto: da sinistra Filippo Samachini; Nino Villa in una foto risalente agli anni Ottanta, quando era responsabile di zona della sezione San Ruffillo del Pci di Bologna
Le conseguenze di quella scelta sono state il berlusconismo, il leghismo, il veltronismo (!), il renzismo e il grillismo: nell’attuale PD, non resta più nulla della cultura e degli ideali del PCI. Viviamo in una società basata sul consumismo e l’egoismo, dove contano solo i soldi, il mercato e l’apparire, non importa come, meglio se antisociale e fuori da ogni regola di civile convivenza.
L’ignoranza culturale di questo Paese è rimasta ferma a quel 12 novembre del 1989 e non a caso le scene e i commenti mediatici conseguenti alla morte di Maradona, per non parlare di come i media e larga parte dell’opinione pubblica affrontano la pandemia, dimostrano che siamo tutto, tranne che un grande Paese. Essere comunisti oggi, significa essere fuori da questi schemi, deleteri per la dignità di 7 miliardi di persone.