Le impressioni di volo sull’elicottero Zefhir della nostra inviata Francesca Gianstefani: «Non riuscivo a staccare gli occhi dal vetro»
L’ultima volta che sono salita su un aereo era gennaio, per andare a Londra. È strano perché per quanto soffra di vertigini e abbia una paura incontrollata del vuoto, volare non è mai stato un problema, anzi, mi piace proprio. Così quando mi è stato proposto di fare un giro in elicottero, proprio non potevo dire di no. Si trattava di un volo veloce, una manciata di minuti, sopra lo Zefhir di Curti. Quando sono arrivata, le pale erano ancora ferme, il pilota senza casco e l’autodromo in trepidante attesa del passaggio dei ciclisti.
È vero che non ho paura di volare, ma a guardarci bene l’elicottero sembrava piccolo, poco più grande di una macchina: un biposto blu elettrico, scintillante nel cielo nuvoloso. Hanno iniziato a risuonare, dentro di me, un po’ tutte quelle voci sentite nei giorni precedenti: «Stai attenta», «Se è brutto tempo non voli, vero?». Insomma, ero felice di essere lì, ma tranquilla, in quel momento, non tanto. Alla fine mi hanno fatta salire sull’elicottero, mi hanno legata e mi hanno messo in testa le cuffie con il microfono, come nei film. Quando l’elicottero si è staccato da terra e ha alzato la parte posteriore, ho capito subito che quel volo sarebbe stato molto diverso da qualsiasi altro. Avevo il cielo tutto intorno e Imola sotto i piedi, non riuscivo a staccare gli occhi dal vetro. (fra.gian.)
L’articolo completo su «sabato sera« dell’1 ottobre.
Nella foto: Francesca Gianstefani a bordo di Zefhir con il pilota Paolo Prezzi