Coronavirus: stop al cuore produttivo, economia in fibrillazione
Il cuore produttivo dell’Italia ha gradualmente smesso di battere per cercare di arrestare l’avanzata del Coronavirus. I decreti ministeriali del 22 e 25 marzo hanno infatti portato alla sospensione delle attività produttive, industriali e commerciali non ritenute essenziali, non legate a servizi di pubblica utilità o non in grado di attuare modalità di lavoro a distanza.
L’impatto che questa scelta epocale avrà sull’economia dipenderà in primis dalla sua durata. Per quanto tempo si possono tenere le aziende in stand by, senza innescare conseguenze irreparabili per le stesse? Che cosa sta accadendo nel nostro territorio? Abbiamo chiesto alle associazioni di imprese di fare il punto della situazione.
«Per chi svolge attività legate a un solo ambito, come gli asili nido o il teatro, e non può contare su un grande patrimonio – osserva Luca Dal Pozzo, presidente di Aci Imola – il rischio di fallire è elevato perché i costi fissi restano. La cassa integrazione è un sostegno per i lavoratori, ma mancano strumenti per le imprese».
«Dobbiamo già cominciare a ragionare su come tenere “accesa” la spia delle aziende, dal punto di vista organizzativo e funzionale – aggiunge Paolo Cavini, presidente di Cna Imola – e dobbiamo cominciare a pensare alla strada per superare la crisi economica, che si è innescata in parallelo. Più si posticipa la ripartenza e più il problema sarà grande, perché significa che le aziende avranno avuto più giorni di fermo».
«Sarò forse impopolare, ma abbiamo invitato i nostri associati ad onorare gli impegni verso i fornitori e i dipendenti, altrimenti si rischia l’infarto finanziario – continua Amilcare Renzi, segretario di Confartigianato Assimprese Bologna metropolitana –. A questo proposito, la Regione Emilia Romagna ha messo a disposizione tramite bando 10 milioni di euro per le piccole e medie imprese e per i professionisti, grazie al quale è possibile ottenere un finanziamento fino a 150 mila euro a tasso zero. È fondamentale perché un’iniezione di liquidità consentirà agli imprenditori di poter avere un po’ di serenità dopo la tempesta, senza l’assillo del sistema bancario che in questo frangente deve fare la sua parte».
«Chi oggi lotta per tenere chiuso, domani rischia di dover lottare per far riaprire quelle stesse aziende – prosegue Marco Gasparri, presidente della delegazione imolese di Confindustria Emilia area Centro –. E non è nemmeno pensabile che i sindacati possano ergersi ad arbitro o giudice unico in merito a quali aziende devono stare chiuse oppure no. Ci si dovrebbe invece sedere attorno a un tavolo insieme a prefettura e guardia di finanza». (lo.mi./gi.gi.)
Le interviste complete sul numero di Sabato sera del 26 marzo
Fotografia di Marco Isola/IsolaPress