La storia del medicinese doc Giuliano Gardenghi, ex batterista con la passione per la fotografia
Ci incontriamo in un assolato pomeriggio invernale. Il caldo anomalo di questi giorni ci consente di prendere un caffè al tavolino esterno del centralissimo bar in piazza Garibaldi, il cuore di Medicina. Il luogo perfetto dove incontrare un medicinese doc come Giuliano Gardenghi. Classe 1949, batterista per professione e fotografo per passione, o anche il contrario ascoltandolo parlare. Mi ricorda qualcuno di famoso e alla fine ci arrivo: Leonard Cohen, hanno lo stesso naso aquilino e la stessa aria malinconica, anche se il capello rock e scarmigliato è più quello di Keith Richards. Gli ho chiesto di incontrarci per parlare della sua passione per le foto, ma finiamo per parlare di musica. Giuliano di mestiere ha fatto il batterista, già questo sarebbe un tema sufficiente su cui scrivere un libro. «Ho suonato per un po’ con Rocky Roberts, quello di “Stasera mi butto” e subito dopo con Luciano Tajoli, una bella differenza. Non sono mai stato molto per la musica italiana, ma se volevo lavorare…».
Vive da musicista per tanti anni, lontano da casa per mesi, facendo una vita da rocker, «un’estate alla fine della stagione, mi dovetti far prestare cinquemila lire dal bassista per venire a casa da Venezia con la Cinquecento. Oggi ci sono i dj, allora c’era la band, eravamo il clou della serata». Ci si divertiva insomma. Quando però comincia a suonare solo il liscio, Gardenghi lascia il suo grande amore, la musica, per la sua passione latente, la fotografia. E comincia a fotografare tutto, in particolare la sua Medicina. I paesaggi, la nebbia, i campanili, le oasi della Bassa con i suoi uccelli palustri, sempre con un taglio da malinconico innamorato della sua terra. «Quando tornavo a Medicina dopo mesi lontano da casa pensavo sempre che era proprio il posto in cui volevo essere». (mo. or.)
L”intervista completa è su «sabato sera» del 12 marzo