Medicina «zona rossa» contro il virus – Under the dome
Mercoledì 18 marzo, Medicina «zona rossa». Suona il cellulare, è suono strano, diverso dal solito. Videochiamata Whatsapp. Rispondo. Pelle. Pelle sfuocata. Un lobo dell’orecchio. Mio padre ha scoperto le videochiamate, ma non ancora come si tiene il telefono. Ci sono anche momenti divertenti in questa tragedia, e meno male. Da lunedì Medicina è zona rossa dentro l’Italia rossa. Zona rossissima, si potrebbe dire. Un perimetro circonda il mio paese e la frazione di Ganzanigo. Non si esce e non si entra. Abbiamo troppi contagiati, il rischio di portare fuori il virus è alto, dobbiamo stare qua dentro. Stiamo diventando una matrioska geografica. Fuori c’è l’Italia, isolata. Poi c’è Medicina, sigillata. Poi ci sono le nostre quattro mura domestiche.
Per me non è cambiato molto rispetto ai giorni precedenti, sono attrezzato per lo smart working, sono già dieci giorni che lavoro da casa. Il problema l’hanno avuto i lavoratori che dovevano uscire dal territorio comunale e quelli che nel nostro territorio dovevano entrare. C’è stato qualche momento di tensione davanti alla sede comunale, ma si è risolto per il meglio. Non transitano più corriere, siamo sotto la cupola, come nel romanzo di Stephen King. Ci si abitua a tutto, questa è l’ennesima conferma che l’uomo è capace di adattarsi a ogni condizione. Quello che è strano è questa continua valanga di informazioni ed emozioni che ti raggiunge attraverso la rete.
Se nel centro del paese regna un silenzio assoluto, e non potrebbe essere altrimenti, davanti allo schermo del computer e del telefono è continuo flusso di notizie, vere, verosimile, inventate, che ti cambia l’umore da un momento all’altro. Ieri, nell’arco di dieci minuti, ho ricevuto una chiamata da un amico di Sky che chiedeva il numero del sindaco per un’intervista, poi mi hanno dato la notizia di un conoscente ricoverato in terapia intensiva, seguita dalla mail di una ragazza che dal Sud Africa domandava notizie. Infine la videochiamata di tre amici, ho risposto e al posto delle facce, questi maledetti, avevano inquadrato le loro chiappe, mica l’orecchio. Per fortuna ci sono gli amici. Questo diario sarà volutamente leggero, anche se di leggero, in queste giornate, non c’è nulla. Dobbiamo tenere alto il morale ma il ricordo va a chi ci ha lasciato, a Luigi, a Francesco e a tutti gli altri. (Corrado Peli)
Nella foto: il selfie di Corrado Peli in una Medicina deserta