Domani rientra in Italia Adalberto Parenti, il volontario castellano aggredito in Serbia: «Grazie a tutti per il supporto»
E’ previsto per domani il rientro in Italia di Adalberto Parenti, il 37enne volontario castellano aggredito, da un gruppo di lavoratori, sabato scorso a Šid, in Serbia, insieme a due colleghe tedesche della No Name Kitchen, organizzazione non governativa che assiste i profughi sulla rotta balcanica, soprattutto afghani ma provenienti anche da Iraq, Siria, Iran e Yemen, con generi di prima necessità, acqua per lavarsi, sapone, coperte e calore umano. Tutti e tre, infatti, hanno ricevuto il foglio di via dalla polizia locale che li obbliga a lasciare la Serbia entro l’8 febbraio e di non tornare per i prossimi sei mesi. «In questo momento mi trovo sempre in questa piccola cittadina di frontiera al confine tra la Serbia e la Croazia – ha commentato Parenti al telefono -. Siamo in contatto con l’ambasciata italiana a Belgrado, ma nelle prossime ore, salvo colpi di scena, pianificheremo il viaggio di ritorno, perché vogliamo agire nella piena legalità. Voglio, però, ringraziare tutti coloro, amici e non, che ci stanno supportando non solo sui social e sono piacevolmente sorpreso dall’interesse che questa vicenda sta suscitando in Italia e in altri paesi. Speriamo che la verità venga a galla e che l’attenzione su questo sopruso legale accenda un pò la luce e renda tutto ciò difficile da ripetersi. Noi, comunque, continueremo a lottare in appello e il nostro avvocato dell’associazione Belgrade Centre for Human Rights è già al lavoro».
Paradossalmente, infatti, dopo l’aggressione subita Adalberto ed una delle due ragazze sono state giudicate colpevoli davanti ad un giudice poi, tutti e tre, hanno ricevuto il foglio di via. «Questo provvedimento non c’entra nulla con il processo che abbiamo subìto dopo quanto accaduto – ha precisato -. Per quello siamo stati ritenuti colpevoli in quanto il giudice ha creduto alla versione degli aggressori e dato per vera la loro dichiarazione, senza chiedere nulla a noi. Abbiamo poi dovuto scegliere se pagare 20 mila dinari (poco meno 200 euro) o passare venti giorni in prigione. Abbiamo scelto la prima, mentre l’altra ragazza è stata scagionata, perché il suo accusatore ha smentito tutto. A quanto pare, però, la polizia ha la libertà di avviare il foglio di via qualora ci sia una dichiarazione e non un giudizio su una persona che, a detta loro, ha turbato la quiete pubblica. Questo è il modo più indolore, ma pericoloso, per disfarsi di organizzazioni come la nostra che evidentemente non stanno molto simpatiche».
Parenti, poi, è tornato su quanto accaduto lo scorso 1 febbraio. «La mattina presto siamo entrati in questa zona a fianco di una fabbrica abbandonata, già sgombrata a novembre, per vedere se nella boscaglia o lì attorno c’erano alcuni ragazzi afghani. Purtroppo siamo stati raggiunti da questi lavoratori che hanno issato sul tetto dell’edificio la bandiera serba e quella chetnik. Il loro capo, vestito di nero, con anfibi, basco e manganello alla gamba ha gettato benzina, finita in parte anche addosso a me ed alla mia collega, ed appiccato il fuoco ad un telo, prima di spintonarci e spaccare il telefono di una delle ragazze. Arrivata la polizia siamo stati, però, gli unici a salire sul loro furgone, portati in caserma e poi processati». (da.be.)
Approfondimenti su «sabato sera» del 13 febbraio.
Nella foto: da sinistra Adalberto Parenti, a destra la fabbrica abbandonata