Giuseppe Lesce (Sacmi): «Plastic tax, uno slogan che non risolve i problemi»
Tra le novità della legge di Bilancio 2020, al momento in discussione al Senato, c’è anche la contestata «plastic tax». Si tratta di una imposta che prevede il pagamento di 1 euro per ogni chilo di oggetti in plastica monouso, prodotti in Italia o importati dall’estero.
La plastic tax andrà quindi a colpire fabbricanti, importatori e commercianti, ma anche, in modo indiretto, i consumatori, su cui si scaricheranno i maggiori costi di filiera. Si calcola infatti che la nuova imposta potrebbe gravare sui consumi delle famiglie per circa 110 euro l’anno. Più in generale, la bozza dell’articolo di legge ipotizza un gettito di 1.079 milioni di euro nel primo anno di applicazione (2020) e di circa 1.700 milioni all’anno una volta a regime.
La plastic tax ha subito fatto scalpore. Se l’obiettivo è inibire il consumo di oggetti in plastica monouso, dall’altro penalizza anche le aziende produttrici di imballaggi in plastica e in modo indiretto la Packaging valley emiliano romagnola. Tra le imprese locali che producono anche impianti per la realizzazione di bottiglie, tappi, capsule e contenitori in plastica per l’industria alimentare e farmaceutica c’è l’imolese Sacmi. Abbiamo chiesto a Giuseppe Lesce, direttore Public affairs di Sacmi, di darci il suo parere sull’argomento.
Cosa ne pensa della plastic tax?
«Mi sembra più uno slogan e non un provvedimento basato su un’analisi reale della situazione. Il ministro Di Maio ha detto che questa tassa è un investimento sul futuro delle nuove generazioni. E’ demagogia, oltre che un ossimoro, dato che una tassa non può essere un investimento. Un tema così complesso non si affronta con enunciati di principio, che non si basano su una conoscenza diretta della materia. Si vuole spingere la ricerca verso materiali innovativi e invece mettiamo una tassa sulla plastica. Non si sta affrontando il problema. Oggi il nostro mondo può davvero fare a meno della plastica? Quando sento dire all’ex ministro della Salute, Lorenzin, che auspica un futuro “plastic free”, senza plastica, mi domando: è mai entrata in un ospedale? I medicinali con che cosa sono confezionati? Le sacche, i cateteri, le attrezzature scientifiche, di che materiale li vogliamo fare? La plastica è stata una grandissima invenzione, ma è l’uso sbagliato che se ne è fatto nel tempo ad aver portato alle conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti. La “sportina” di plastica, ad esempio, è nata 60 anni fa dall’idea di un ingegnere svedese. L’obiettivo era salvaguardare gli alberi e il pianeta: rispetto a un sacchetto di carta era destinato a durare di più. Senza contare che il sacchetto di carta, dal punto di vista energetico, costa il triplo rispetto a uno di plastica. Ma questo la gente non lo sa. Se si vuole davvero affrontare il tema, mettiamo attorno a un tavolo qualcuno che sappia almeno cos’è il “carbon footprint” (impronta di carbonio, ndr), cioè che cosa comporta a livello energetico globale una scelta rispetto a un’altra. Se abbiamo davvero a cuore l’ambiente, dobbiamo considerare tutti gli aspetti e non usare slogan, che oltre ad essere irritanti non aiutano a risolvere il problema». (lo. mi.)
L”intervista completa nel numero del Sabato sera del 28 novembre
….perfetto, continuiamo a produrre ed usare plastica usa e getta in un Paese in cui l’inciviltà dei cittadini è un’eccellenza e il profitto abbondante degli imprenditori è sacro, per non parlare del classico ricatto sui posti di lavoro….