«Rubrica salute»: ludopatia, quando il gioco d’azzardo diventa una malattia
E’ un fenomeno che interessa tutte le età e che bisogna continuare a combattere. Si chiama ludopatia, la dipendenza da gioco d’azzardo. «Amanti del gioco – informa Stefano Gardenghi, psichiatra e direttore dell’Unità operativa Dipendenze patologiche dell’Ausl di Imola – sono soprattutto gli uomini che si avvicinano alle slot machine e alle scommesse, mentre le donne preferiscono il gratta-e-vinci. Nel 2017 le persone che si sono rivolte al servizio dell’Azienda Usl di Imola chiedendo aiuto e che sono state poi prese in carico erano 86 mentre nel 2018 sono state 93: di queste 60 per dipendenza primaria, quindi soltanto per gioco d’azzardo; le altre 33 per dipendenza da cocaina e alcool ma con anche dipendenza da gioco. La maggioranza ha tra i 40 e i 55 anni, ma abbiamo in cura anche 3 minorenni dipendenti da internet e alcuni over 65 che una volta in pensione si sono avvicinati, anche per noia, alle macchinette».
Numeri che devono far riflettere, soprattutto dopo la decisione adottata dalla regione Emilia Romagna di vietare l’utilizzo delle ticket redemption (slot machine per bambini). Perché si comincia così. «In questo modo – motiva Gardenghi – si allena il bambino al gioco, all’eccitazione dell’attesa. Perché non è importante la vincita in denaro ma il raggiungimento di una esperienza emotiva eccitante». Si parla allora di compulsività, impossibilità a sottrarsi ad un impulso. Ma qual è il confine tra il giocatore normale e quello patologico? «Il gambler (giocatore d’azzardo) non riesce a sottrarsi al gioco e se non gioca diventa fortemente inquieto, sta male e dà segni di astinenza. Dipendenza, dunque, non da sostanze ma dal gioco. Non c’è differenza». (Alessandra Giovannini)
L”articolo completo su «sabato sera» del 3 ottobre.
Nella foto: Stefano Gardenghi, psichiatria e direttore dell”Unità operativa dipendenze patologiche dell”Azienda Usl di Imola