Vespa cinese, per salvare castagni e raccolti occorre preservare l”equilibrio tra il parassita e il suo antagonista naturale
Rieccolo il Dryocosmus kuriphilus, il cinipide parassita del castagno arrivato dal nord della Cina, meglio noto come vespa cinese. In Europa questo parassita non era presente fino al 2002, anno in cui fu accidentalmente introdotto in Italia, in una zona a sud di Cuneo. E oggi è segnalato in varie regioni italiane, tra cui l’Emilia Romagna. «Abbiamo ricevuto segnalazioni un po’ da tutta la regione in merito alla presenza della vespa cinese», conferma Giovanni Benedettini fitopatologo del Servizio fitosanitario della Regione Emilia Romagna che, insieme al collega Massimo Bariselli, è intervenuto all’incontro svoltosi qualche settimana fa a Castel del Rio, proprio per parlare delle problematiche del castagno.
Il cinipide adulto è simile ad una piccola vespa, lunga circa 2,5 millimetri. Attacca sia il castagno europeo, selvatico o innestato, sia gli ibridi euro-giapponesi. E’ un insetto galligeno in quanto induce la comparsa di galle su germogli e foglie delle piante infestate, ovvero ingrossamenti tondeggianti tendenti al rossastro nei quali la sua larva compie il ciclo vitale. Per contrastare la diffusione della vespa cinese, la Regione Emilia Romagna ha introdotto prescrizioni obbligatorie e dal 2009 ha avviato un progetto di lotta biologica basato sull’introduzione del parassitoide Torymus sinensis, un imenottero. Lotta biologica col Torymus già sperimentata con successo in Giappone, dove ha portato ad una riduzione delle infestazioni al di sotto della soglia di danno nell’arco di una decina d”anni.
Un equilibrio tra parassita e parassitoide che si sta raggiungendo anche qui da noi. «Ormai il cinipide si è inserito nell’ecosistema castagneto e, con esso, il suo antagonista, il Torymus sinensis – conferma Elvio Bellini, uno dei maggiori esperti nazionali del settore castanicolo e coordinatore del centro studi di Marradi -. Entrambi convivono ormai in equilibrio e noi dobbiamo favorire nel migliore dei modi questo raggiunto equilibrio, per esempio evitando di bruciare il materiale di potatura che contiene galle secche, nelle quali la larva compie il ciclo vitale, ma dove è certamente presente anche il Torymus». Non a caso le misure di contrasto alla diffusione del parassita vietano il taglio delle galle, specialmente in autunno, al fine di favorire l’azione del Torymus, le cui larve si cibano delle larve di Dryocosmus. A quanto pare, invece, si sta diffondendo l’abitudine di distruggerle. «Purtroppo – conferma Benedettini – dobbiamo rilevare che, in particolare nei boschi di Castel del Rio, c’è una non ottimale gestione del materiale di risulta delle potature del castagno. I rami e le foglie con le galle secche, contenenti la vespa ma anche il loro antagonista, in alcuni casi sono stati bruciati e a morire è stato proprio chi dovrebbe aiutare a sconfiggere il malefico parassita che, nel frattempo, può essere già volato via. Le potature – esorta – vanno conservate almeno due anni».
A suggerire buone norme per la conservazione del materiale di potatura è anche Sergio Rontini, titolare, insieme alla figlia Monia, dell’azienda agricola Il Regno del Marrone, a Castel del Rio, dove coltiva più di 50 ettari di castagneti. «Si è parlato della dannosità della bruciatura – racconta – anche nel corso del settimo convegno nazionale sul castagno, organizzato dalla Fondazione Edmund Mach e dalla Società di ortoflorifrutticoltura italiana, che si è svolto dall’11 al 14 giugno a Pergine Valsugana, in provincia di Trento, e dove ho partecipato anche in veste di vicepresidente del Consorzio castanicoltori di Castel del Rio. Speriamo che le cose cambino, altrimenti a rischiare il raccolto siamo tutti. Bruciare vuol dire far impoverire il terreno, danneggiare le coltivazioni vicine e la montagna in generale». (al.gi.)
L”articolo completo è su «sabato sera» del 4 luglio
Nella foto le galle rossastre che contengono le larve della cosiddetta vespa cinese