Buona Settimana di Marco Raccagna: Anch’io mi associo a chi ritiene importante insegnare la storia
Nei giorni scorsi ho firmato l’appello «La storia è un bene comune: salviamola» (per firmare, https://www.repubblica.it/robinson/2019/04/25/news/la_storia_e_un_bene_comune_salviamola-224857998/), che ha raccolto fin qui migliaia di firmee ha come primi sottoscrittori Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri. L’appello punta i fari su quello che appare come un progetto di ridimensionamento dell’insegnamento della materia e chiede al ministro dell’Istruzione che la prova di storia venga reinserita negli scritti dell’esame di Stato delle scuole superiori, che le ore dedicate alla disciplina nelle scuole vengano aumentate e che dentro l’università si favorisca la ricerca storica. E, leviamo subito il dubbio, è stato firmato da studiosi e persone, di cultura e non, di ogni estrazione politica.
D’altra parte, la storia è di tutti. E’ un insegnamento critico, chemette a confronto fonti, esperienze, vite, teorie e fatti. Non solo, perché «la storia – come dice l’editore Laterza – non è una disciplina come un’altra, ma è un esercizio di cittadinanza». Ed è un po’ malinconico e avvilente che occorra un appello a ricordarcelo, aggiungo io. La storia è come le briciole di Pollicino. Ci ricorda la strada fatta, ci dice dove e come siamo e perché, ci permette di non perderci, se ben osservata. Se ci pensiamo bene, però, soprattutto la storia, un gradino sopra l’economia, l’astronomia o la medicina, nel mondo contemporaneo dei social media e dei contro-esperti digitali improvvisati, della comunicazione veloce e semplificata, è oggi messa all’indice. Sacrificata sull’altare, come recita l’appello, di «una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per proteggere interessi e privilegi. I pericoli sono sotto gli occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie funeste. (…) Queste stesse distorsioni celano un bisognodi storia…».
E’ da quel bisogno che dobbiamo ripartire. Non c’è educazione civica, metodo laboratoriale o classe inclusiva che tenga. Come non c’è opinionista o politico o urlatore del web che possa sostituirsi agli esperti che hanno fatto delle pagine della storia la loro disciplina di indagine e la loro professione, spesso con molti anni di studioe gavetta. Certo, gli strumenti, le metodologie e gli eventi con cui la storia viene trasmessa devono far passi da gigante in avanti, smettendo i panni impolverati, le lezioni di ore e ore noiosissime e i «parrucconi». Perché la storia è piena di vita e di vite. E’ storia di uomini e di popoli e di nazioni. Di valori e principi, di errori e successi. E’ fatta di parole e simboli. Pensate solo a vocaboli come comunismo e fascismo, comunista e fascista e alla loro quotidiana distorsione, semplicemente perché si è perduto ogni riferimento storico, ogni capacità di approfondimento su cosa sono stati eperché sono nati sia l’uno che l’altro.
E’ attraverso la conoscenza storica che abbiamo consapevolezza del nostro ruolo nella contemporaneità, micro o macro che sia. Ed è da lì che possiamo partire per porci obiettivi, funzioni e muovere azioni motivate. Per farla breve, è attraverso la storia che sappiamo spiegare agli altri perché facciamo qualcosa, anche e soprattutto in politica. Oggi però siamo da un’altra parte, sia per chi fa politica direttamente, sia per i cittadini. Siamo all’improvvisazione, all’istinto, all’ora e subito, al non ragionamento, all’incoerenza del pensiero, al tempo che è iniziato ieri, prima il nulla. Tuttavia, potrebbe non durare per sempre. E’ la storia che ce lo insegna. Buona settimana.