Maria Mirandola, nota a Castel Guelfo come la maestra Ceccarini, racconta come riuscì a prendere il diploma magistrale
L’anno scorso, oltre a celebrarsi il centenario dalla fine della Prima guerra mondiale, Maria Mirandola compiva cento anni, festeggiata dalla famiglia e dal sindaco di Solarolo, dove ora risiede. Ma il 12 settembre 1918 Maria Mirandola è nata a Castel Guelfo, «e lì tornerò, nella bara», afferma decisa e divertita riguardo la propria fine. Ma torniamo all’inizio della storia. «Una volta si nasceva fra le mura domestiche – racconta -. Mia madre si era spostata da Castel Guelfo alla Fantuzza a casa di sua mamma per partorire me. Erano altri tempi, c’erano le levatrici comunali per assistere le partorienti insieme alle figure femminili della famiglia».
Il ritornello «erano altri tempi» ricorre di frequente chiacchierando con Maria, e in effetti così è, il mondo è cambiato davvero tanto negli ultimi cento anni. Cambiamenti talvolta repentini, ma più spesso graduali che quasi non ce ne si accorgeva. Così, senza saperlo, Maria ha fatto parte del cambiamento che ha portato al presente come oggi lo conosciamo, fatto di diritti oltre che di doveri. Ma per Maria non tutto era ovvio come per noi oggi. Innanzitutto non è stato banale realizzare il sogno di diventare maestra elementare, un desiderio maturato fin dai primi anni di scuola anche grazie alla propria maestra di allora, «Alice Ansaloni – ricorda benissimo – che portava sempre i capelli raccolti in un cucài (lo chignon, in dialetto) e una giacca colorata fatta di tanti quadrati ricamati a mano».
Uno spettacolo di colori cui la foto in bianco e nero non rende giustizia ma che brilla ancora negli occhi di Maria, che è diventata maestra soprattutto grazie alla propria tenacia. «Se non avessi fatto la maestra non avrei saputo cos’altro fare – ammette la maestra Ceccarini, come ancora la ricordano in molti a Castel Guelfo, dal cognome del marito e maresciallo del paese -. Terminata la quinta elementare ho avuto in dono dei campi da coltivare. La mia era una famiglia di contadini, lavoravamo anche la terra di proprietà dei signori Ruffo Bacci di Bologna e un pezzo di terreno è stato un bel dono. Io però volevo studiare. Ne ho parlato con mio padre, ma siccome eravamo tanti in famiglia, ben 11 fra cui 4 fratelli e 3 sorelle fra maggiori e minori, era impossibile. Mi diceva: come facciamo se anche gli altri vogliono studiare? A 16 anni ho anche scritto a Mussolini, pur di continuare gli studi. Imbucavo le lettere con la mia richiesta di un sostegno economico per il percorso scolastico alla posta di Castel Guelfo, ma non ricevevo mai risposta… Poi – dalla determinazione, l’intuizione – ho imbucato l’ennesima lettera a Bologna e poco tempo dopo sono stata convocata in Comune per la risposta! Subito sono stata rimproverata per il disturbo arrecato a Mussolini, che aveva ben altre cose a cui pensare, mi disse una segretaria comunale austera. Ma insieme alla lettera c’erano 200 lire che ho utilizzato per comprare libri e dizionari. Quello è stato l’unico aiuto. Così ho lavorato la terra fino ai 18 anni, però sempre convinta a riprendere gli studi e diventare insegnante».
Nonostante fossero «altri tempi», Maria non si arrese. «A 18 anni (diversamente da oggi Maria non era ancora maggiorenne perché fino al 1975 la maggiore età si raggiungeva a 21 anni) ero brava nei campi: zappavo, sarchiavo, eccetera, ma non faceva per me. «La Maria dovete farla studiare se non volete vederla morire», diceva un garzone a mio padre. Così il babbo ha radunato la famiglia e ha chiesto a tutti un parere sulla possibilità di rimandarmi a scuola. «E finalmente sono tornata sui banchi, io già grande insieme a tanti più giovani di me», racconta felice oggi come ieri Maria, che forse anche grazie alla soddisfazione per la carriera tanto desiderata è arrivata a superare il traguardo non da poco dei 100 anni.
«A scuola allora non si portava il grembiule – continua a ricordare -. Quando ero piccola io c’era una bella miseria. Spesso la cena era a base di fagioli sconditi, che noi bambini mangiavamo seduti in riga sulla panca in cucina prima che tornassero i grandi dai campi, affamati e stanchi. Papà Ernesto ci aveva insegnato a mettere in ordine i vestiti per l’indomani sul comodino o sulla sedia vicino al letto, in caso arrivasse la bèssa bura, cioè un temporale con tromba d’aria in grado di scoperchiare il tetto di casa».
Il percorso di studi di Maria è dunque proseguito presso l’istituto delle suore Visitandine di Castel San Pietro e poi all’istituto magistrale di Imola. Per frequentare la scuola viveva da una sorella sposata, dal lunedì al venerdì, per poi tornare a casa solo il fine settimana in bicicletta. «Mi piaceva studiare l’italiano e le materie letterarie più che quelle scientifiche, ma bisognava studiare tutto». E infatti la maestra Mirandola ha insegnato tutto, nella sua carriera, perché allora gli insegnanti seguivano le proprie classi in tutte le materie scolastiche. Di solito, i primi due anni delle elementari erano destinati alle maestre, agli insegnanti maschi, invece, venivano assegnate le classi dalla terza alla quinta. «Le maestre erano come delle mamme, insegnavano anche ad allacciarsi le scarpe perché certi bambini le mettevano solo per andare a scuola – spiega-. Allora il lavoro della maestra lo si imparava per lo più sul campo, non esistevano i tirocini come oggi». (mi.mo.)
La storia completa della maestra Maria Mirandola è su «sabato sera» del 28 marzo
Nella foto, a sinistra un”immagine giovanile di Maria Mirandola, a destra la signora Mirandola come è ora insieme al presidente dell”Arci Castel Guelfo Ruggero Morini