Buona Settimana di Marco Raccagna: “Non sentirsi definiti dalla propria disabilità”
Manuel Bortuzzo, giovane promessa del nuoto italiano, reso disabile da colpi d’arma da fuoco esplosi contro di lui perché scambiato – pare – con un’altra persona. E’ una storia che ha fatto commuovere un po’ tutti, in Italia. Ora Manuel è di nuovo in acqua ed è stato intervistato da Massimo Giletti a Non è l’arena. Quella sera era con la sua ragazza e nel rivedere le immagini dell’accaduto non ricorda il dolore, lo stupore del cadere a terra, magari l’incazzatura successiva. Ricorda solo che ha detto ti amo alla sua ragazza, per timore di non poterglielo più dire. Per Manuel il 3 febbraio del 2019 non è il giorno in cui ha perso l’uso delle gambe, è quello in cui ha pronunciato «ti amo».
Selene Mirra e Arianna Sacripante sono due sincronette, cioè due atlete che praticano il nuoto sincronizzato. E’ uno sport in cui l’estetica la fa da padrone. E’ uno sport sinonimo di bellezza ed eleganza. Ma anche un’attività in cui il sacrificio, l’allenamento continuo e la fatica sono davvero grandi. E vogliono andare alle Olimpiadi di Tokyo del 2020. Alle Paralimpiadi, per la precisione. Selene ed Arianna fanno infatti parte del Progetto Filippide per l’autismo e le malattie rare. Loro sono le atlete di punta della squadra di nuoto sincronizzato per atlete con sindrome di Down nata nel 2009 e hanno vinto i mondiali. E per vincere la loro sfida hanno chiesto aiuto a Giorgio Minisini, unico maschio a gareggiare nel nuoto sincronizzato. E’ un ragazzo di 22 anni che ha fatto la differenza e Selene ed Arianna, che mai avrebbero pensato di andare un giorno alle Olimpiadi, lo hanno voluto al loro fianco, perché quello è proprio il loro obiettivo, fare la differenza.
Austin Jenkins ha 9 anni ed è affetto da una paralisi cerebrale. Frequenta una scuola elementare di Parkesburg, negli Stati Uniti. E gioca a basket, probabilmente perché è lo sport a lui più congeniale e perché dottori, famiglia e scuola hanno collaborato positivamente affinché ciò potesse accadere. La mamma, Christina Weaver, ha postato un video di suo figlio che, aiutato da un compagno (osservatelo bene il compagno, lo fa per ben due o tre volte, con pazienza e amicizia), mette finalmente a canestro una palla, durante una partita di basket. E subito dopo esplode la gioia di Austin, che saltella in modo scomposto per il campo verso la panchina dove trova l’entusiasta give me five (il cinque) degli adulti. E lui continua a gesticolare e saltellare. Quasi a sbeffeggiare la sua condizione, divertendosi e divertendo, pieno di felicità. (ecco il video https://video.repubblica.it/sport/basket-il-bimbo-disabile-va-per-la-prima-volta-a-canestro-grazie-al-gesto-del-compagno/329722/330323).
Cosa hanno in comune queste tre esperienze così diverse? Hanno innanzi tutto in comune la sofferenza e il dolore. Non scherziamo. Ce ne è sempre e tanto, accompagnato a volte dal rammarico e dalla frustrazione dei protagonisti e delle persone che li amano. Già perché l’altra cosa che hanno in comune è altrettanto certamente l’aver vicino a sé famiglie ed amici amorevoli, che non si sono arresi e che li supportano. Perché nella loro vita ogni buona notizia, ogni cosa buona, è il frutto di sacrifici, di lacrime e sudore per superare le difficoltà. E’ il frutto di una ribellione e di una presa profondissima di coscienza e di accettazione, tutto allo stesso tempo. E alla fine un sorriso, quando va bene. Manuel, Selene, Arianna e Austin hanno anche un’altra cosa in comune. Tra loro e con Lee Spencer, un ex militare inglese che, dopo aver svolto tre missioni in Afghanistan, ha perso una gamba soccorrendo le vittime di un incidente stradale e che ora ha stabilito un record attraversando a remi l’oceano Atlantico. «Nessuno deve sentirsi definito dalla sua disabilità», dice Lee Spencer a chi gli chiede perché. Hanno anche questo in comune e, forse, tutti noi con loro. Nessuno deve sentirsi definito. Mai.
Buona settimana.