Nessun problema grave nelle strutture per anziani del territorio, a buon punto i controlli dell”Azienda usl
Tutte le case famiglia e pressoché metà delle strutture socio-assistenziali autorizzate sono state controllate. Quest’anno si procederà con le rimanenti. Questo il punto sulla verifica a tappeto avviata l’anno scorso dall’Ausl di Imola in quello che è un servizio e un business davvero in espansione visto il numero di anziani crescente (nel circondario gli over 65 sfiorano il 24 per cento su una popolazione di 133.533 abitanti). Nel luglio scorso le case famiglia erano appena 8 nei nostri dieci comuni, oggi sono già 11 (sono tutte a Imola a parte una che è a Castel del Rio, l’ultima è stata aperta il 14 febbraio), invece le strutture pubbliche o private per anziani (le «vecchie» case di riposo o cra) sono 24.
In generale, «non abbiamo riscontrato violazioni o problemi gravi durante i controlli» rassicurano Cristina Bortolotti e Stefano Giuntini. Nelle case famiglia, dove oggi le indicazioni normative sono pressoché inesistenti, «abbiamo dato qualche consiglio – raccontano -. In un caso tenevano i farmaci in frigorifero, meglio fare un contenitore separato. In un altro abbiamo detto di scrivere almeno la scadenza sul ragù conservato nel congelatore. Ma qui da noi le case famiglia rispondono abbastanza alla motivazione per cui sono nate». Situazione tranquilla anche nelle cra: «L’irregolarità maggiormente diffusa è trovare uno o due ospiti in più rispetto a quelli autorizzati, cosa che comporta una sanzione, anche se, va detto, le condizioni igieniche e lo spazio erano sempre adeguati. A volte – aggiungono – occorrerebbe un po’ più di formazione per il personale, ma nel tempo abbiamo comunque visto una crescita della qualità».
Bortolotti e Giuntini sono coordinatrice infermieristica e tecnico della prevenzione, fanno parte delle task force che, durante i controlli a sorpresa, per circa quattro ore aprono frigoriferi, valutano igiene, pulizia o impianti, chiacchierano con personale e ospiti, verificano le qualifiche degli addetti e la correttezza delle terapie somministrate. L’assistenza residenziale per gli anziani è un sistema complesso e fondamentale, rivolto ad un’utenza fragile, che richiede attenzione e tutele per evitare abusi. Ogni volta che vengono scoperte situazioni come quella recente di San Benedetto Val di Sambro, dove gli anziani subivano maltrattamenti di ogni genere, montano rabbia e timori. Da qui la decisione dell’Emilia Romagna di puntare i riflettori sul settore, in particolare sulle case famiglia, quelle con massimo 6 posti letto. Strutture private non soggette ad esami preventivi, basta avere una casa con stanze sufficienti e una Scia al Comune per aprirne una.
L’anno scorso la Regione ha individuato delle Linee guida con dei requisiti minimi e chiesto alle Aziende sanitarie la ricognizione sull’esistente, con l’intenzione di proporre una vera e propria legge in merito se il Governo non prenderà un’iniziativa. Nei mesi scorsi la Conferenza sociosanitaria metropolitana (Ctssm) ha rilanciato chiedendo ai Dipartimenti di sanità pubblica delle Ausl di Bologna e Imola di predisporre un regolamento, sempre sulle case famiglia, mutuato per l’appunto dalle Linee guida. «Il testo definitivo – spiega Gabriele Peroni direttore del dipartimento Sanità pubblica – è stato presentato il 25 febbraio alla Ctssm, ora occorre che venga proposto ai Comuni e che questi lo recepiscano. Così avremo una “legge locale” cogente che permetterà, se un gestore non ottempera, di proporre ordinanze e sanzioni».
Il regolamento consentirebbe di agire subito in attesa della nuova norma regionale o nazionale. «Il fatto che sia di area vasta, metropolitano, permette di evitare la “migrazione delle strutture” oltre i confini comunali, come accaduto da altre parti per sfuggire» sottolinea Giuntini. Se gli enti locali dell’area bolognese l’approvassero rapidamente potrebbero fare da apripista per un immediato giro di vite sulle nuove aperture. Cosa prevede? «Bagni attrezzati per i disabili, ad esempio, e ospiti autosufficienti o con un lieve grado di non autosufficienza – elenca Peroni -. Qualora la persona perda l’autosufficienza è prevista una finestra di tre mesi durante la quale il personale dovrà essere incrementato per fornire un’assistenza adeguata e la famiglia organizzarsi per trovare un’altra collocazione».(l.a.)
L”articolo completo è su «sabato sera» del 7 marzo
Nella foto Cristina Bortolotti, Stefano Giuntini e Gabriele Peroni