Buona Settimana di Marco Raccagna: Da «resistenza» privata a «ribellione» collettiva
Circa 250.000 persone sabato 2 marzo a Milano per la manifestazione antirazzista People – prima le persone e 1.800.000 domenica 3 marzo ai gazebo del Partito democratico per le primarie per eleggere il nuovo segretario. Sono due grandi atti politici, per lo più inaspettati in queste dimensioni, che per la prima volta dal 4 marzo 2018 portano in superficie con forza un’altra visione dell’Italia e crepano vistosamente il quadro nazionale di ineluttabile consegna del Paese nelle mani di una destra certamente scaltra e furba e aiutata dal confuso magma pentastellato, ma che soprattutto si caratterizza per arroganza, razzismo, egoismo sociale e che scimmiotta atteggiamenti protofascisti che attraversano l’Europa contemporanea.
Sono due accadimenti molto diversi, che trovano tuttavia un punto in comune importante: il rifiuto della cultura politica e sociale espressa da questo governo Lega/5Stelle. Due accadimenti resi possibili non certo dal sentirsi appartenere tout court da un lato ad una indistinta massa antirazzista e, dall’altro, al Pd. Piuttosto, ognuno dei partecipanti ai due eventi ha portato in piazza e ai gazebo la propria soggettiva visione e protesta e solo là ha trovato altri con cui condividerla, trasformando la parola del singolo e il suo volontario e intimo comportamento in un atto politico pubblico e di massa. Trasformando così una «resistenza» privata in cui ci si sentiva molto soli e sfigati, in una «ribellione» collettiva sorridente.
Come dare ora a tutto ciò contenuti e idee politiche e progettuali definite e percorribili? Come trasformare un «contro» in un «per»? Come trasformare ora questo segnale importante in azione politica? Come trasformarlo, in una parola, in alternativa? I 5Stelle (molto in calo) e soprattutto la Lega godono di un ampio consenso in Italia. Ma ora spetta soprattutto al Pd e al nuovo segretario Nicola Zingaretti e al gruppo dirigente che si insedierà partire dai numeri del 2 e del 3 marzo per costruire una prospettiva nuova. A cominciare dal rompere gli steccati, non fermandosi ad un centrosinistra classico fatto di sigle consumate nel Paese, ma formando un’alleanza larga, senza steccati e veti, credibile e rappresentativa della società reale e non fatta di gruppi dirigenti in libera uscita, come troppo spesso è accaduto.
Proseguendo poi con l’aggredire il tema delle diseguaglianze crescenti, che per troppo tempo il Pd non ha visto. E rifiutando da subito la categoria del post-renzismo, come se fare i conti con errori commessi in questi anni dovesse voler dire rigettare in toto una stagione che ha anche portato il partito al 41%. Occorrerà, al contrario, pensare al presente e al futuro e stringersi attorno a Zingaretti a Roma e a Marco Panieri e al nuovo gruppo dirigente locale a Imola senza condizioni e con generosità. Ricreando un giorno per volta una comunità politica oggi ancora disgregata e attraversata da rancori spesso personali. E’ il minimo sindacale se si vuol far sì che anche un eventuale 20% del Pd alle europee di primavera non sia in realtà politicamente marginale, proprio perché incapace di trasformarsi in praticabile alternativadi governo.
In piazza a Milano e nei gazebo in tutta Italia si è rivisto qualcosa che sembrava sopraffatto e spazzato via come coscienza collettiva e che restava relegato nell’affermazione identitaria dei singoli. Come ha affermato Ezio Mauro, ci si è invece riscoperti popolo. Non basta ancora per essere una proposta diversa e credibile alla maggioranza di governo dei selfie, degli slogan arroganti e dei me ne frego. Ma non ci si butti troppo giù, la si smetta di guardarsi l’ombelico e non si faccia nemmeno come spesso la sinistra fa, non riconoscendo la mano che si tende per tirarla fuori dalle sabbie mobili.
Buona settimana.