Il 2019 anno difficile per l”economia locale. Il parere dei presidenti delle tre maggiori cooperative imolesi
L’economia italiana è entrata in una fase di stallo e già si parla di recessione. A dirlo sono i dati Istat: nel quarto trimestre del 2018, il Pil ha segnato la seconda variazione congiunturale negativa consecutiva, determinata da una nuova flessione della domanda interna. Anche per la Commissione europea nel 2019 la prospettiva di crescita dell’Italia è quasi nulla, pari appena allo 0,2%. Il problema, però, non riguarda soltanto l’Italia, anche all’estero l’economia sta rallentando e questo pone un grosso problema alle imprese che vivono soprattutto di export. A dirlo, in questo caso, sono i tre presidenti delle principali cooperative imolesi Paolo Mongardi (Sacmi), Gianmaria Balducci (Cefla) e Stefano Bolognesi (Cooperativa Ceramica d’Imola), riuniti attorno allo stesso tavolo in occasione dell’iniziativa organizzata dal Lions Club Imola Host il 5 febbraio scorso al Molino Rosso. La serata aveva per tema “Il valore sociale, l’incidenza economica e le prospettive delle maggiori imprese cooperative del territorio”. I tre ospiti, introdotti dalle parole della presidente del club imolese, Wanessa Grandi, si sono rivolti a un pubblico in cui era rappresentata una larga fetta del mondo economico locale, cooperativo e non.
L’anno che è appena iniziato segna tre anniversari importanti per le imprese protagoniste dell’evento: i 145 anni di Coop. ceramica, i 100 di Sacmi e gli 85 di Cefla. Sono quindi tra le imprese imolesi più longeve e tra le più grandi, dato che sul territorio danno lavoro complessivamente a circa 3.700 persone, numero che sale a 6.400 se si considera l’ampiezza dei rispettivi gruppi nel mondo. Aziende i cui fatturati in totale superano abbondantemente i 2 miliardi di euro; aziende che investono anche sul territorio e che alimentano un indotto di piccole e medie imprese. L’andamento di questi tre big è in grado di influenzare l’intera economia imolese. Tutti e tre i presidenti sono concordi nel dire che il 2019 sarà un anno difficile.
«Nel 2018 – spiega il presidente di Sacmi, Paolo Mongardi – abbiamo chiuso un bilancio di gruppo di circa 1 miliardo e mezzo di euro, con 4.400 addetti. Negli ultimi 18 anni abbiamo triplicato il fatturato. Non è un vezzo, ma una necessità, perché oggi purtroppo se non si cresce con il mercato, si rischia di sparire perché si viene acquisiti da qualche altro gruppo. Oggi il nostro “core business” sono ancora le macchine per la ceramica (900 milioni di fatturato), seguono il beverage e le linee complete per l’imbottigliamento (350 milioni), le macchine per il packaging dei prodotti alimentari, in particolare cioccolato e bakery (120 milioni). Negli ultimi 5 anni abbiamo realizzato la mission di creare lavoro. Abbiamo assunto 250 persone, delle quali circa 150 diplomati (di cui 140 provenienti da istituto tecnico) e un centinaio di ingegneri. Il 2019 è iniziato con delle incertezze. Già a metà del 2018 si era visto un rallentamento di vari mercati. I mercati principali del settore ceramico, Italia e Spagna, dopo gli anni legati allo sviluppo dell’Industria 4.0, hanno cominciato a segnare il passo. E questo è normale, perché nel periodo del ministro Calenda ci sono stati molti stimoli per cambiare l’industria. Dopo 3 anni di crescita continua, adesso c’è una stasi. Riteniamo quindi che sarà un anno difficile, un po’ più complicato del precedente, ma che comunque ci consentirà di restare nei valori del 2018, che erano simili a quelli del 2017. Un anno in cui non parleremo di crescita. Il nostro anno del centenario forse corrisponderà a uno degli anni più critici della storia Sacmi».
«La nostra visione non è più ottimistica – conferma Gianmaria Balducci, presidente Cefla – . Nel 2013 partimmo con 350 milioni di fatturato. Nel 2018 abbiamo chiuso a un po’ più di 550 milioni di euro, anche se i numeri ufficiali usciranno più avanti. Dopo 6 anni di grande crescita e budget sfidanti, quest’anno abbiamo presentato un budget in leggera contrazione. Per certe unità di business siamo più legati all’economia interna, anche se alcune aree di business, come medicale e finishing, arrivano al 90 per cento di export. Questa dipendenza dall’Italia, che è uno dei fanalini di coda dell’Europa e ha una economia che di per sé non sta brillando, non può non condizionarci nelle ulteriori prospettive di crescita. Però in tutte le difficoltà ci sono anche grandi opportunità. Avere una azienda ben capitalizzata, con un indebitamento quasi nullo o per lo meno molto sotto controllo e con rating Crif di massima affidabilità finanziaria, anche nei momenti di tempesta ci dà credibilità sul mercato, può farci riconoscere rispetto ai competitor e darci degli strumenti che vanno al di là degli ottimi prodotti. Altra chiave in cui crediamo molto è la grande diversificazione sia di mercati, a livello geografico, sia di prodotti. Abbiamo ormai 5 business unit divise in macroaree. La più grande è il “medical”. Da qualche anno siamo leader mondiali nella pro-duzione di poltrone per dentisti, a cui abbiamo abbinato la radiologia. Stiamo spingendo nel settore della veterinaria e nell’arco di due anni dovremmo entrare anche nel mondo medicale. A questo si aggiungono gli impianti per la sterilizzazione. Per completare la nostra proposta commerciale, nel 2018 abbiamo acquisito una azienda che fa viti per impiantistica. Questa è l’area che è cresciuta di più ultimamente: siamo arrivati a 200 milioni di fatturato, con l’85 per cento di export. Un altro business in cui siamo leader mondiali è il settore della finitura del legno. Qui l’export supera il 90 per cento, copriamo circa un terzo del mercato mondiale delle macchine per la verniciatura legno. Il tema secondo me più importante del modello cooperativo è il legame con il territorio in cui siamo nati. Abbiamo sedi negli Stati Uniti, in Russia, in Cina, in Germania, però tutto quello che si riesce a fare a Imola ci conviene farlo a Imola. L’ingegneria di tutte le macchine, ad esempio, la facciamo qua. Su 2 mila dipendenti nel mondo, 1.300 lavorano a Imola. Non possiamo vedere alternative al legame con un territorio che ci ha dato tantissimo, che ha istituti di formazione eccellenti e persone straordinarie».
«Oggi noi nel mondo siamo un microbo – esordisce il presidente di Coop. Ceramica, Stefano Bolognesi -. Mi spiego meglio: nel mondo si producono e consumano circa 14 miliardi e mezzo di metri quadrati di piastrelle. In tutta Italia (e noi siamo l’unica cooperativa), se ne producono e se ne vendono 400 milioni. Noi ne facciamo 20 scarsi e quindi vuol dire che siamo il 5 per cento, del 3 per cento della produzione mondiale. Qualsiasi tipo di guerra per avere la leadership commerciale sui volumi e sui presidi nelle piattaforme produttive internazionali è persa. Ma non è neanche voluta. Ci dobbiamo orientare a essere al vertice di un mercato di nicchia, con un prodotto qualificato. Il consumo di ceramica aumenta nel mondo di circa 1 miliardo di metri quadrati all’anno. Il mercato internazionale è presidiato al 70 per cento da Cina e India, l’altro 30 per cento da Italia e Spagna. In Italia il nostro settore ha avuto circa 4.500 cassintegrati nel periodo di Natale. Noi siamo usciti dagli ammortizzatori sociali lo scorso agosto. Abbiamo fatto una ristrutturazione importante. All’inizio del mio percorso come presidente, il totale del gruppo arrivava vicino a 2.700 addetti. Avevamo un fatturato medio pro capite di un terzo rispetto a quello dei concorrenti di Sassuolo. La mia visione era cercare di aumentare il volume per salvaguardare l’occupazione. Nel 2006 e 2007 era andata anche abbastanza bene. Poi con la crisi del 2008 non si poteva più fare. Abbiamo cercato di tenere duro il più possibile, poi abbiamo deciso che le cose andavano fatte. Abbiamo fatto delle operazioni estremamente dolorose: abbiamo incentivato all’uscita centinaia di lavoratori, senza licenziare neanche una persona (oggi i dipendenti sono circa 1.200, Ndr). Nel 2018 abbiamo fatto una forte riduzione d’orario per evitare gli ultimi esuberi, riguardanti soprattutto il lavoro femminile su impianti ormai superati dalla tecnologia. Nel 2017 e 2018 abbiamo avuto i bilanci migliori degli ultimi 20 o 30 anni. Siamo riusciti a raggiungere un equilibrio finanziario buono. Dalla fine del primo trimestre del 2018 la situazione è degenerata per un “overbooking” pauroso di capacità produttiva: c’è troppa offerta sul mercato, c’è un calo della domanda, tanti Paesi a livello politico ed economico sono in difficoltà, c’è meno capacità di spesa e meno fiducia. Oggi presidiare in termini di concorrenza significa o avere capacità di innovare, di allungare il passo per staccare i concorrenti con servizi o tecnologie diverse, oppure significa essere competitivi sui prezzi. Le aziende devono puntare a guadagnare per fare investimenti e cercare di generare continuità, che è l’obiettivo di una società cooperativa. Qualche “mal di testa” per il 2019 c’è. Siamo il 5 per cento del 3 per cento mondiale, ma crescere di qualche punto percentuale non è impossibile. Bisogna guadagnarselo». (lo.mi.)
Il servizio completo è pubblicato su «sabato sera» del 14 febbraio
Nella foto al centro la presidente del Lions Wanessa Grandi. Con lei da sinistra Balducci (Cefla), Bolognesi (Coop. Ceramica) e Mongardi (Sacmi)