Buona Settimana di Marco Raccagna: “Mediterraneo, il mare che Salvini pensa sia suo”
Fabrizio De Andrè, genovese di nascita e sardo di adozione, due luoghi in cui il mare «conta», è morto 20 anni fa: l’11 gennaio del 1999. E’ stato a mio avviso uno dei grandi poeti del novecento italiano, anche se lui preferiva «precauzionalmente» definirsi cantautore. Ha scritto canzoni bellissime e ha cantato gli ultimi, gli emarginati, l’impegno civile, la solitudine che si fa serenità per trovare l’amore e la libertà. Ci ha lasciato un album testamento, Anime salve, del 1996. Ci tornerò su.
Il 4 marzo 2018 le elezioni politiche hanno premiato Movimento5Stelle e Lega ed oggi il consenso dei due partiti sommati oscilla tra il 55% e il 58%. Un consenso ampio, che essi alimentano in un crescendo continuo di sfide e che stanno usando per «fare» poche e maldestre cose. Qui mi interessa il cosiddetto «decreto sicurezza», che ha introdotto nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo, abolendo di fatto la protezione per motivi umanitari, mentre i permessi di soggiorno dei richiedenti asilo non basteranno più per iscriversi all’anagrafe o avere una residenza, cosicché molti si troveranno per strada una volta usciti dai centri di prima accoglienza.
E mi interessa la chiusura «politica» dei porti italiani agli extracomunitari (non c’è decreto e le dichiarazioni via twitter ancora non contano giuridicamente…), donne incinta e bambini inclusi. Il luogo geografico in cui tutto ciò avviene è il mar Mediterraneo, il «mare Nostrum» degli antichi romani. Un luogo raccontato in modo differente e fantastico da Fernand Braudel (Il mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione) e da Predrag Matvejevic (Breviario Mediterraneo).Un mare che, nonostante il vicepremier Salvini probabilmente pensi sia proprio nostro, al contrario ha molte geografie e molte culture, e coltivazioni e fisionomie, e padroni, che a volte si aiutano e a volte si fronteggiano, oggi e nella storia.
Un mare che molti secoli fa conteneva il mondo, fino alle colonne d’Ercole, e che oggi è da esso contenuto. Un mare che dà acqua ad altri mari, che poi prendono altri nomi e appartenenze e parlano lingue diverse. Greci, arabi, romani, fenici, veneziani, pisani, genovesi, amalfitani e finanche celti, vichinghi e quanti altri lo hanno navigato, per scoperta e conquista, e ci hanno portato le proprie divinità, molte e spesso arrabbiate.Il Mediterraneo è da sempre un crocevia di genti, di commerci, di contatti e relazioni, di coste, di isole, di boe e approdi, di battaglie, di rotte. E’ un mare di arance e limoni, ulivi e cipressi, di sabbia portata dal vento e di immobili rocce, di trasparenze e burrasche. E’ il mare su cui si affacciano tre continenti e attraverso il quale, ben dopo l’anno 1000, la civiltà islamica spinse l’Europa a uscire dal Medioevo.Cosa è accaduto allora perché si arrivasse a urlare porti chiusi (!) e prima gli italiani (!)? Come si è giunti a rifiutare il soccorso a chi soccombe, prima a casa sua e poi nel mare Nostrum? Perché moli e banchine e spiagge e scogli si sono trasformati in luoghi impossibili da raggiungere o sui quali stendersi e morire, invece che trampolini per un tuffo nel mare? Perché il Mediterraneo da crocevia di storie e culture è diventato un mare immobile, pieno di scialuppe e gommoni e barche rotte, di solitudini e disperazioni che affondano e muoiono con lui e con tutta la civiltà, l’etica e la morale delle genti che lo abitano?
La sovrapposizione della paura del diverso, del migrante, di coloro che arrivano dall’altra sponda del mare Nostrum, alle crescenti disuguaglianze divenute insopportabili; il sommarsi dell’impoverimento di vastissimi strati della popolazione ad un’insicurezza totalizzante e a frustrazioni non più traducibili dalla politica tradizionale in proposte e azioni di governo sentite come condivise e rispondenti ai bisogni, tutto ciò ha travolto tutto e tutti. E l’odio, l’ignoranza che si erge a cultura dominante e forma un nuovo dizionario delle menti, il rancore verso gli altri, la ricerca di un nemico e un colpevole da accusare ogni volta che qualcosa non va, nella nostra vita quotidiana e personale o in quella di un intero Stato e del suo Governo, ha coperto tutto.La vergogna e quindi l’indignazione faticano a trovare espressione, in un’Italia già vista e in un’Europa colpevolmente indifferente.
Non abbiamo imparato nulla o quasi. E pensare che la storia qualcosa ci ha detto in un ultimo secolo con due guerre mondiali e molti disastri locali, tra cui quello di 25 anni fa stretto tra i Balcani e il mare dell’Intimità, il mar Adriatico. No, i muri tornano ad alzarsi, negli Stati Uniti, in Europa, nei porti, tra le genti che sono morte per abbatterli decenni orsono.
Le leggi se sono sbagliate si bocciano (se si hanno i numeri per farlo, naturalmente) o si cerca di modificarle. Quello che sta accadendo è purtroppo più in profondità. E’ nelle menti e nei cuori di ciascuno di noi e della moltitudine.Per questo credo non si possa restare a guardare. E non importa se non si è tutti uguali e la si pensa un po’ diversamente. Nei parlamenti, nelle piazze, sui social, nei congressi: ora sarebbe il caso di darsi la mano e gridare che c’è un Mediterraneo che affonda e che bisogna salvare.
E si potrebbe cantare con De Andrè «ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto, che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti, come una svista, come un”anomalia, come una distrazione, come un dovere» (Smisurata preghiera da Anime salve, 1996).Buona settimana. (Marco Raccagna)
Articolo splendido, complimenti Marco.
Il Signore li ricorderà, ne sono certa