L”ex portiere di Torino e Lazio Luca Marchegiani e… l’Imolese: «Mio figlio para nel Gubbio ma non facciamo paragoni»
Imola. Luca Marchegiani, Pasquale Bruno, Roberto Mussi… Martin Vazquez, Scifo, Lentini… Ah no, scusate, quella era la formazione del Toro nella finale di Coppa Uefa del 1992. Luca Marchegiani, Giuseppe Pancaro, Alessandro Nesta… Stankovic, Mancini, Nedved, Salas, Vieri. Ah no, scusate ancora, quella era la Lazio che vinse la Coppa delle Coppe nel 1999. Marchegiani, Schiaroli, Espeche… Ecco, stavolta ci siamo. Sarà questa la formazione che Rino Galeotti, lo speaker del Romeo Galli, leggerà domani, 14 ottobre, (alle ore 14.30, udite, udite), quando dovrà presentare lo schieramento del Gubbio contro l’Imolese.
Differenze, tante. Cose in comune, una sola: un Marchegiani in porta, quel Gabriele figlio d’arte che sta cercando di ripercorrere le tracce del padre famoso, uno che, partito dalla Jesina, è arrivato fino ai microfoni di Sky, passando per uno scudetto e una finale mondiale, quella persa a Pasadena contro il Brasile nel 1994, con una signorilità assai rara nel mondo del pallone. «Non amo particolarmente parlare di mio figlio. Siccome lo precede sempre la mia fama, preferisco stare un passo indietro».
Come ci ha detto Giuseppe Giovinco su queste colonne alcune settimane fa, il cognome famoso può anche essere un peso.
«E’ vero, perché si possono creare paragoni e aspettative, si è sempre sotto osservazione. Mio figlio Gabriele finora è stato bravo, perché ha seguito il suo percorso indipendentemente da me. Ha trascorso gli anni nelle giovanili della Roma con grande serietà e serenità. Attualmente è un ragazzo di 22 anni che sta cercando di trovare la sua dimensione».
Dopo il giallorosso di Trigoria, sono arrivate le esperienze tra Pistoiese (serie C), Spal (serie B e A) e, adesso, Gubbio.
«Non si possono fare paragoni con quello che è stato il mio percorso. Erano tempi molto diversi e devo dire che una volta era molto più facile arrivare a certi traguardi. Ai portieri venivano chieste meno cose e non c’erano tutti gli stranieri che si vedono oggi nel calcio, soprattutto tra i pali. Una volta si era etichettati. Se arrivavi in serie A eri un giocatore di serie A, e potevi stare tranquillo, proseguendo nella tua crescita tecnica. Adesso invece il calcio naviga sulle montagne russe. Un anno giochi in B, la stagione dopo non trovi la squadra e sei quasi sempre un precario: tutto è legato all’occasione che ti può capitare e che devi sfruttare a tutti i costi. Ogni treno può essere l’ultimo».
Sei ancora andato a vederlo giocare nel Gubbio?
«Ovviamente seguo i risultati, ma non sono mai andato allo stadio, perché alla domenica sono impegnato su Sky con i miei commenti. Penso che il Gubbio sia una squadra che si sta modellando, anche se non sono in grado di dire a che traguardi potrà ambire. Credo che la serie C attuale sia il classico campionato dove la forza del gruppo sia vincente rispetto ai valori tecnici».
Tornando a noi, ci sono pochi legami tra Imola e Marchegiani. Oppure no?
«Non ci ho mai giocato contro, per ovvi motivi, però conosco la città, visto che sono stato diverse volte a trovare Stefano Garbuglia, grazie all’amicizia che ci lega fin da quando eravamo compagni di squadra ai tempi della Jesina, a metà degli anni Ottanta. Con Marocchi ci siamo conosciuti in campo e ci siamo tenuti in contatto quando Giancarlo era dirigente del Bologna e io già facevo il commentatore televisivo. Siamo più che colleghi, siamo compagni di viaggio su Sky, quasi sempre insieme. Con lui mi trovo molto bene: oltre che un conoscitore di calcio è anche un ottimo comunicatore. Con Mannini, infine, siamo stati anche compagni in Nazionale, per un breve periodo. Con Arrigo Sacchi, soprattutto nelle prime partite, Mannini faceva parte del gruppo e ricordo una tournée negli Stati Uniti nel 1992, due anni prima del Mondiale americano».
p.z.
L”articolo completo su «sabato sera» dell”11 ottobre.
Nella foto: Luca Marchegiani (a destra) col figlio Gabriele quando era alla Spal