«Come facciamo a cacciare Salvini?»: il caso Castel del Rio e i processi sommari al tempo dei social
In epoca social, succede sempre più spesso: processi sommari in piena regola, celebrati sul web anziché nelle sedi preposte.
Esattamente quello che è accaduto ieri con la vicenda della frase «Come facciamo a cacciare Salvini?», comparsa sul quaderno di scuola di un alunno di prima media di Castel del Rio e subito fotografata, condivisa su Facebook da esponenti locali della Lega e diventata, come si usa dire nel gergo social, «virale», al punto da raggiungere Roma e da meritare l’attenzione dello stesso Salvini.
Come è arrivata quella frase sul quaderno di un ragazzino di 11 anni? Prima di qualunque ricostruzione ufficiale, è stata proprio la Lega a elaborare la propria idea in proposito e a metterla nero su bianco in un comunicato firmato dal commissario provinciale Daniele Marchetti. «Il solo pensare di sottoporre un compito in classe porgendo una domanda simile agli studenti significa non essere in grado di adempiere con correttezza alla propria professione di insegnante, che è, per l”appunto quella di formare e fornire nozioni essenziali per la vita quotidiana», ha dichiarato il leghista, che siede in Consiglio comunale a Imola ed è consigliere del Nuovo Circondario Imolese, abbracciando da subito l’ipotesi che quella frase fosse lo spunto per un compito in classe dato dalla docente alla classe.
Una posizione condivisa dal segretario di Vallata della Lega Fabio Morotti il quale, pur mettendo le mani avanti e parlando di «verifiche» in corso, comunque intanto ha preannunciato l’intenzione di chiedere provvedimenti contro la professoressa che «ha scelto la scuola non per educare, quanto per fini di propaganda politica». Il tutto a monte della ricostruzione ufficiale, alla quale sta lavorando in queste ore la dirigente scolastica cui il sindaco di Castel del Rio, Alberto Baldazzi, ha chiesto una relazione dell’accaduto.
Facile immaginare il tenore delle decine di messaggi che sono comparsi nei profili social degli autori dei post, in gran parte di condanna del presupposto cattivo operato dell’insegnante e con conseguenti richieste di licenziamento. Un «linciaggio» durato diverse ore anche dopo la risposta che minimizza l”accaduto da parte del direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna, Stefano Versari, all’Ansa: «Il caso non esiste nemmeno. Non c’è nessun compito in classe o a casa dato dall”insegnante ai bambini, ma un incidente nato da un esercizio fatto in classe. Un”attività per cui ogni alunno esprime un desiderio e trascrive sul quaderno quelli degli altri, per parlarne poi insieme al docente e conoscersi».
Ma la condanna era già bell’e servita, come si usa ai tempi dei social. (r.c.)
La foto della frase incriminata allegata al comunicato della Lega