Aule decorate, sala ovale e sotterranei. Alla scoperta di palazzo Liverani, sede del liceo classico Rambaldi di Imola
«Venite a visitare il liceo classico, vi renderete conto che non è una scuola fatiscente». Così il dirigente scolastico Lamberto Montanari, a margine della conferenza stampa di presentazione dei lavori programmati dalla Città metropolitana nelle scuole superiori imolesi, invitava i giornalisti a dare un’occhiata a palazzo Liverani. Fra circa quattro anni la scuola dovrà trasferirsi nei locali dell’ex Andrea Costa in viale D’Agostino, dove è previsto anche un nuovo stabile per il liceo Alessandro da Imola, oggi nel più problematico complesso Carducci, privo anche di ascensore.
Il dirigente non nasconde il dispiacere di dover lasciare una sede ormai storica, che in questo modo tornerà in pieno possesso del Comune di Imola. Oggi, infatti, l’immobile è concesso in comodato gratuito alla Città metropolitana. Abbiamo colto la palla al balzo e lo abbiamo ricontattato affinché ci consentisse di visitare il liceo con fotografo al seguito. «La scuola è stata ristrutturata non tanti anni fa – ci dice Montanari, facendoci strada -. Abbiamo ovunque le porte tagliafuoco e le scale di emergenza. Qui abbiamo una palestra, seppur piccola. Nella nuova sede pare non sia stata nemmeno prevista, ma spero di sbagliarmi».
Sin dall’atrio si notano i richiami al gusto neoclassico di primo Ottocento, come le colonne del vestibolo o, al piano nobile, la sala ovale che ricorda il salotto dell’appartamento Impero a palazzo Tozzoni. Nella biblioteca di istituto al pianoterra e nei corridoi al primo piano le volte sono a crociera. Le aule della scuola, nel 1893 intitolata con regio decreto al letterato Benvenuto Rambaldi, tra i primi commentatori della Divina Commedia di Dante, hanno ancor oggi soffitti finemente decorati. «In realtà – ci spiega poi Matteo Veronesi, ex allievo e oggi docente di Letteratura italiana nello stesso istituto – i colori sono fin troppo squillanti a causa di un maldestro restauro, avvenuto negli anni Sessanta, che ha ispessito i contorni delle figure».
I lavori di restauro si sono svolti infatti dal 1966 al 1978, periodo durante il quale le lezioni si svolgevano nel palazzo del Fascio. Stranamente, palazzo Liverani non è mai stato studiato dal punto di vista storico-artistico. Pochi cenni si trovano nel volume Le ceramiche. Musei civici di Imola (edizioni Analisi), dove un interessante articolo a firma di Claudia Pedrini rileva una corrispondenza tra i bassorilievi in terracotta e stucco che decorano il portale d’ingresso, la facciata e il fronte verso il giardino con quelli di palazzo Milzetti a Faenza, opera dei fratelli Ballanti Graziani. Le figure, a tema zodiacale e mitologico, sono le stesse che si ritrovano in varie dimore faentine, segno che gli stessi stampi sono stati utilizzati più volte. Veronesi, dal canto suo, ricondurrebbe i dipinti al pianoterra e al piano nobile alla mano (o alla scuola) di Felice Giani, pittore e decoratore di interni tra i massimi esponenti del Neoclassicismo, che aveva lavorato proprio a palazzo Milzetti.
La visita si conclude nei sotterranei e qui rimaniamo stupefatti dall’infilata labirintica di ambienti con volte a botte che terminano su un passaggio murato. Fino ai primi anni Duemila, ricorda il personale della scuola, quel passaggio era aperto. C’è chi sostiene che il palazzo fosse un tempo collegato al centro attraverso quelle vie sotterranee e c’è chi si ricorda di qualcuno che aveva provato ad addentrarvisi, ma l’oscurità aveva costretto il temerario a ritornare sui suoi passi. Non si sa chi abbia provveduto a chiudere il passaggio. In assenza di riscontri oggettivi, il mistero e la leggenda rimangono.
lo.mi.
Su «sabato sera» del 31 maggio, uno «speciale» di tre pagine su palazzo Liverani.
Nella foto (Isolapress): il dettaglio di uno dei soffitti decorati a palazzo Liverani