La storia degli aerei ricognitori «Pippo» e «Cicogna», terrore della popolazione durante la guerra
Nell’aprile del 1945 atterrarono ad Imola i primi aeroplani; i primi e gli ultimi, probabilmente. Si trattava di quegli aerei da ricognizione con l’ala sopra, detti anche «Cicogne», dotati di macchine per riprese fotografiche, che facevano anche il servizio postale, trasportavano feriti, ecc. Volavano alti nel cielo, sia di giorno che di notte, solitari, sorvolando le zone di combattimento e soprattutto le retrovie tedesche per individuare la presenza di truppe, di automezzi in movimento, di basi e depositi di rifornimenti e poi, ogni tanto, lasciavano cadere una bomba, seminando il panico tra i soldati tedeschi e naturalmente anche tra la popolazione civile.
Nel libro di Guglielmo Cenni dal titolo Imola sotto il terrore della guerra, l’autore annota puntualmente i fatti di cronaca cittadina tra il luglio del 1943 e l’aprile 1945. Quei velivoli, dagli imolesi erano chiamati «Pippo» perché il nome tecnico era Piper, che in inglese si pronuncia «paiper», ma in tedesco si pronuncia «piper». Per cui, ogni volta che si sentiva il caratteristico e inconfondibile rombo, i soldati tedeschi dicevano: «Piper! Piper!», per intendere l’aereo che stava spiando dall’alto. La parola «piper» per gli imolesi divenne allora simpaticamente e affettuosamente «Pippo». La presenza di quell’aereo divenne famigliare, anche se le sue azioni portavano spesso danni e morti. Dopotutto si era in guerra, in quel terribile inverno 1944-45 che passammo chiusi tra le mura della città, coi campi minati tutt’attorno, il razionamento dei viveri, il mercato nero e migliaia di sfollati venuti dalla campagna. Benvenuti quindi i voli dei Pippo sulle nostre teste; almeno davano speranza. C’era anche il coprifuoco, l’obbligo di mantenere l’oscurità, con degli addetti che giravano per controllare anche le case private.
Erano azioni di tutti i giorni, quelle compiute dai Pippo, che nell’inverno 1944-45 partivano da Castel del Rio, da una pista spianata alla meglio su di un ampio terrazzo naturale circa un chilometro a nord del paese. Decollavano e atterravano in poco spazio. Quello di Castel del Rio non fu l’unico campo del genere allestito nella vallata del Santerno, poiché mano a mano che il fronte avanzava anche i servizi delle retrovie si spostavano. Ad Imola liberata, i campi di atterraggio furono addirittura due: uno a fianco della strada Montanara, dove oggi si trovano i campi da rugby, l’altro verso Faenza, in via Gratusa. Sul campo della Montanara atterrarono soltanto i Piper, in quello di via Gratusa invece hanno atterrato anche alcuni bimotori.
Il 15 aprile nel podere Santo Spirito, dove era situata la base dei rifornimenti, arrivarono le ruspe la mattina presto. Cominciarono ad abbattere le piante, a colmare i fossi e a livellare il terreno e nel pomeriggio atterrarono i primi aerei. C’era sempre un notevole traffico di aerei, che arrivavano e partivano. Quando c’era troppo fango, per asciugare il terreno i militari usavano cospargerlo di benzina e darvi fuoco. Anche da quelle parti un aereo fu abbattuto dalla contraerea piazzata sulla strada di Zello e andò a cadere proprio dove ora c’è l’albergo Olimpia. Quei campi di atterraggio rimasero in funzione forse una ventina di giorni, poi tutto si spostò verso nord. La vita molto lentamente ricominciò, i contadini ripresero a lavorare, i fossi furono riaperti e degli «aeroporti» del Santerno non rimase più nulla.
ve.mo.
L”articolo completo su «sabato sera» del 19 aprile.
Nella foto: un aereo da osservazione decolla da un campo di atterraggio di pianura
NON CI SONO ALTRI AEREI TEDESCHI DA RICOGNIZIONE?