Calcio, Raffaele Franchini realizza il sogno di indossare la maglia dell”Imolese come suo padre
Dopo un lungo giro iniziato 15 anni fa a Castel San Pietro, per passare poi da Sassuolo, Ferrara, Viareggio, Roma, Venezia, Pordenone, Martina Franca, Fiorenzuola e Zola Presosa, Raffaele Franchini è finalmente arrivato all’Imolese, la squadra della sua città, dove è nato 33 anni fa. Il papà Maximo, edicolante di via d’Azeglio, che deve il suo nome sudamericano al padre emigrato in Cile negli anni ’40, dove sposò una ragazza locale, ha pure lui un passato calcistico in rossoblù risalente alla stagione ’73/74; 8 presenze in una squadra che, allenata da Nencetti (poi sostituito da Zanetti), arrivò ultima in serie D retrocedendo in Promozione.
Fra i tanti sogni nel cassetto, più o meno coronati, Raffaele custodiva anche quello di giocare nell’Imolese.
«Fino all’anno scorso la mia unica esperienza calcistica a Imola era quella fatta nella Tozzona da bambino. Poi Libero Vespignani mi notò quando giocavo negli Esordienti e mi portò a Castel San Pietro. Da allora ho sempre sperato un giorno di vestire la maglia che aveva indossato mio padre. Ma per vari motivi, e fra questi il fatto che negli anni in cui ero un giocatore parecchio gettonato a livello di serie C l’Imolese era in Eccellenza, non è mai successo. L’occasione è arrivata quest’anno».
Un’occasione che ti sei creato da solo.
«Diciamo che mi ha dato una mano il mio amico Marco Tattini. Tramite lui, lo scorso maggio incontrai il presidente Spagnoli, al quale espressi la voglia di venire a giocare nell’Imolese. Attesi a lungo una risposta, poi in luglio fui aggregato alla rosa durante la preparazione per svolgere un periodo di prova. Non fu facile, ma alla fine mi presero. In quel momento ho provato una grande soddisfazione. E finora credo di aver contraccambiato, facendomi sempre trovare pronto».
Anche se per la verità non giochi tantissimo.
«Ma non per questo mi sento messo in disparte. Sono venuto senza pretese, considerando che a offrirmi sono stato io. All’inizio ero il sesto attaccante. Ma sono ugualmente contento, perché gioco in una squadra professionistica in tutti i sensi. Ritengo di essere una figura importante per i giovani, che spesso mi chiedono consigli e si confrontano con me. Mi trovo bene anche nel ruolo dove mister Gadda mi fa giocare».
Quanti campionati hai vinto in carriera?
«Tre. La D a Castello, la C2 con Cisco Roma e Venezia. Ho disputato anche sette volte i play-off».
Quest’anno potrebbe capitarti di giocarli per l’ottava volta.
«Può darsi. Per ora sono ancora concentrato sul Rimini, anche se in classifica è lontano. Non pensavo tenesse un ritmo del genere. Noi abbiamo perso punti per strada, loro no. Ma non è ancora finita. A livello di prestazioni ultimamente abbiamo dimostrato di esserci. Possiamo vincere tutte le partite che restano, ma serve un pizzico di furbizia e scaltrezza in più».
Vincere sempre probabilmente non basterà.
«La fiammella della speranza arde ancora. Un occhio al Rimini dobbiamo tenerlo. Come li abbiamo battuti noi, possono riuscirci anche altri. Non bisogna demordere e vivere partita per partita. Il calcio ai vertici federali sta cambiando e probabilmente anche le regole sui ripescaggi. Per cui può diventare importante vincere i play-off e la Coppa Italia. Finora ho giocato sempre in questa competizione, facendo due gol, a Belluno e in casa con la Pianese. La Coppa ora è un obiettivo preciso per noi. E’ un trofeo che non ho mai vinto. Quando giocavo nella Cisco Roma persi una semifinale di Coppa Italia di serie C contro il Catanzaro».
a.d.p.
L”intervista completa su “sabato sera” del 22 febbraio.
Nella foto: Raffaele Franchini