Agricoltura, fissato il prezzo delle patate. I commenti dei produttori: «Troppo basso e non copre i costi»
Ventun centesimi al chilo. E’ questo il prezzo fissato a metà gennaio dalla Borsa patate di Bologna per ripagare i produttori. Un prezzo che li costringerà non solo a non guadagnare nulla da un’annata già pessima dal punto di vista climatico, ma addirittura a non riuscire a coprire i costi, che lo scorso anno sono stati più alti del solito a causa soprattutto della siccità.
In Italia si consumano ogni anno circa 2 milioni di tonnellate di patate, a fronte di una produzione che nel 2017 è stata di circa 1,3 milioni di tonnellate. Da qui la necessità di importare prodotti, in prevalenza da Francia e Germania. «Il raccolto 2017 – commenta Michele Filippini, presidente della nuova organizzazione di produttori Agripat – ha sofferto le avversità climatiche. Lo sforzo in fase di raccolta non è stato premiato dal mercato e il prezzo fissato è un risultato a due facce: discreto se consideriamo l’annata, pessimo se consideriamo la redditività del settore agricolo. Non siamo contenti del prezzo fissato dalla borsa, ma ci rendiamo conto che si sia garantito agli agricoltori associati un’annata non così disastrosa come era apparsa nella stagione estiva. Si segnala, comunque, una flessione degli acquisti domestici di patate in Italia a causa di vari fattori. Dobbiamo invertire la tendenza, scegliendo varietà gradite al consumatore e che possano essere destinate ai principali utilizzi in cucina».
Passando ai produttori, la famiglia Montroni-Brini conduce un’azienda agricola che si estende nei comuni di Castel San Pietro, Imola e Dozza, con una ventina di ettari destinati anche alla produzione delle famose patate al selenio. «Chi produce questo tipo di patate – ci spiega Luisa Brini, che conduce l’azienda assieme al marito Roberto e alle due figlie Flavia e Chiara Montroni – può sperare in qualcosa in più dei 21 centesimi al chilo stabiliti dalla Borsa patate di Bologna, ma non è comunque sufficiente a garantire il rinnovamento delle attrezzature e delle tecnologie. Inoltre, il fattore di produzione che incide maggiormente sulla coltivazione delle patate è l’irrigazione e la scorsa stagione abbiamo speso molto di più rispetto agli altri anni. Noi utilizziamo una decina di pozzi di nostra proprietà, ma alla fine il costo dell’energia elettrica e del gasolio utilizzati è molto superiore al canone che pagheremmo se fossimo allacciati alla rete consortile. Rispetto agli altri Stati europei il problema principale è la scarsa competitività delle imprese italiane, dal momento che il costo del lavoro è troppo alto, quelli energetici e logistici sono sproporzionati e la burocrazia è esagerata».
Il trentenne imolese Fabrizio Pirazzoli, invece, coltiva terreni a Imola, Mordano, San Prospero, Castel Guelfo e Dozza. Produce solo varietà Primura certificata Patata di Bologna Dop e possiede una sessantina di ettari di proprietà, oltre ad una trentina in affitto, a rotazione. «In questi ultimi anni – spiega – tanti agricoltori si sono avvicinati a questo tipo di coltura e in tanti sono già scappati. Oggi, arrivando a incassare soltanto in primavera, non facciamo altro che anticipare i costi di produzione, facendo da “istituti di credito” per cooperative e consorzi. L’anno scorso sono stati più alti di circa il 7-8 per cento, mentre i quantitativi prodotti non sono stati elevati, senza contare le spese legate alle certificazioni che ci chiede il mercato. Il paradosso è che oggi la patata Dop viene venduta a un prezzo più basso di qualsiasi altra patata comune prodotta in Italia, Francia o Tunisia».
lo.mi.
L”articolo completo su “sabato sera” del 22 febbraio.
Nella foto: Fabrizio Pirazzoli