Musica e teatro, la storia della castellana Silvia Gisani
La storia di Silvia Gisani racconta di una dedizione completa alla musica e al canto e della sua missione di trasmettere il valore dell’esecuzione canora attraverso l’insegnamento. Per i castellani interessati alla scena teatrale e musicale cittadina è praticamente impossibile non conoscerla: ha fatto parte del Corpo bandistico come sassofonista e dal 2001 dirige il coro amatoriale Casual Gospel, con cui ha, tra le altre cose, partecipato a diverse edizioni dalla rassegna musicale castellana I suoni degli angeli e con cui ha allietato le serate del paese mettendo in piedi operette e spettacoli teatrali, come la più recente Par fourtouna ch’ai è la muttua, commedia dialettale che ha riscosso molto successo tra il pubblico. Silvia, dal canto suo, è un contralto, con una formazione lirica e una passione per l’operetta e per il teatro in generale. E ora si è dedicata alla musica leggera come voce dell’orchestra Attenti a noi 2.
Ma la sua più grande vocazione rimane l’insegnamento. Ed è stato proprio questo l’argomento principale della nostra conversazione, tenutasi nel suo studio musicale tappezzato di fotografie e attestati raccolti in trent’anni di attività. «Specializzandomi nella cura della voce – inizia a raccontare – ho compreso il vero significato del detto di Sant’Agostino: “canta che ti passa”. Perché il canto che fa bene all’anima non è quello a squarciagola, bensì quello fondato sull’esecuzione e sulla tecnica. Lo insegno sempre ai miei allievi, sia che vogliano diventare professionisti, sia che vogliano semplicemente divertirsi: alla base di tutto sta la respirazione, che permette di cantare meglio e lasciarsi trasportare dalla musica».
Qual è l’approccio allo studio musicale delle nuove generazioni?
«Mi trovo spesso a spiegare ai giovani che la tecnica canora è ancora importante, sebbene sappia che la televisione dice tutt’altro. Nei programmi come X-Factor o Amici si predilige molto di più la storia personale; il fatto di cantare o suonare bene passa un po’ in secondo piano, o arriva comunque in seconda battuta. La voce, poi, di per sé è uno strumento complicato da insegnare, perché lo studente possiede già un bagaglio di aspettative che a volte si ha paura di disattendere, per non scoraggiarlo. Alcuni si aspettano di fare il karaoke! Però, una volta che riesco a spiegare l’importanza di studiare gli originali, piuttosto che la cover trovata su Youtube, e che è necessario prendersi cura della propria voce, le reazioni dei ragazzi sono ottime».
Ha tratto soddisfazioni da questa attività di insegnamento?
«Assolutamente sì. Oltre ad avere permesso ad alcuni miei ragazzi di inseguire il sogno del professionismo, ho vissuto situazioni in cui la musica ha significato tanto per i miei allievi. Il complimento più bello l’ho ricevuto da una casalinga: mi disse che il canto le era risultato più utile di una seduta dallo psicologo, le aveva donato la pace che cercava. Un altro mio allievo, con una brutta storia di bullismo alle spalle, ha ritrovato il sorriso cantando. E’ stata una soddisfazione immensa, ho avuto davvero una dimostrazione del potere della musica».
E cosa mi può dire del suo rapporto personale con la musica?
«La musica mi ha sempre sostenuto, anche nelle occasioni peggiori. Quando mi ritrovai a cantare e a recitare la sera dopo il funerale di mio padre mi diede una grande spinta nel metabolizzare il lutto. Penso che nell’esecuzione musicale, così come nel teatro, ci sia una specie di magia: per un certo lasso di tempo ti rende un’altra persona, e le uniche emozioni che contano sono quelle che scateni nel pubblico. Le proprie passano in secondo piano».
Ci racconti come ha mosso i primi passi nel mondo della musica?
«Ho iniziato a sognare di fare la cantante fin da piccolissima: costringevo mio cugino Loris ad assistere ai miei spettacoli in cameretta. Per me era una questione molto seria e mi dava anche quasi fastidio che i miei la vedessero come un gioco. Inizialmente suonavo principalmente il sassofono e il pianoforte, al mondo del canto mi introdusse la professoressa Ada Contavalli. Sarebbe più corretto dire che mi costrinse. L’altro mio maestro fu il compianto padre Callisto, frate e maestro della corale Santa Maria in Viara nel convento di Castel San Pietro. Poi c’è stato il conservatorio. Ci ho sempre messo tutta me stessa e, ovviamente, il successo non è arrivato perché, quando il treno è passato per me, io avevo altri pensieri».
L”intervista completa su “sabato sera” dell”8 febbraio.
r.r.
Nella foto: Silvia Gisani