Mario Giordano va in pensione: “Una vita nell’Arma ma sempre in… borghese”
Martedì 16 gennaio per il luogotenente dei carabinieri della Compagnia di Imola Mario Giordano è decisamente da ricordare. Ultimo giorno di lavoro dopo 37 anni nell’Arma, dei quali una trentina a Imola, sempre al Nucleo operativo radiomobile (Norm), che si occupa di indagini di polizia giudiziaria e pronto intervento. Nato in provincia di Agrigento 56 anni fa, ha cominciato giovanissimo la sua avventura nell’Arma, dove ha sempre svolto il suo servizio in borghese e con il capello riccio un filo più lungo della media, almeno se di professione sei un militare. Per una volta eccezionalmente in divisa, sfoglia assieme a noi i ritagli di giornale che raccontano le «sue» indagini.
Partiamo dall’inizio.
«Mi sono arruolato nell’Arma il 17 settembre 1981, subito dopo il servizio di leva – racconta -. Non c’era un motivo particolare, non avevo parenti carabinieri (il padre era direttore in un ufficio postale e la madre dipendente in posta, ndr). Fino al giugno del 1983 ho frequentato per due anni la scuola sottufficiali a Velletri e a Firenze. Poi il mio primo incarico è stato nel Nucleo operativo radiomobile a Cento. All’epoca ero ancora scapolo e vivevo in caserma. Lì sono rimasto fino al 1987, quando mi hanno chiesto se volevo passare alla sezione anticrimine a Bologna, gli attuali Ros, dove mi occupai anche di uno degli ultimi omicidi commessi all’epoca dalle Brigate Rosse a Forlì».
Poi è passato alla Compagnia di Imola.
«Sono arrivato in via Cosimo Morelli il 25 luglio del 1988, lo ricordo bene perché era il giorno del compleanno di Roberta, che sarebbe diventata mia moglie l’anno successivo (la coppia ha due figli, Riccardo di 26 anni ed Elisa di 23, ndr). Anche a Imola sono sempre stato nel Norm, non ho mai chiesto di cambiare e lì sono salito di grado da brigadiere, maresciallo ordinario, maresciallo capo, maresciallo maggiore, maresciallo maggiore aiutante e, infine, luogotenente. Dal 2009 fino alla pensione sono stato a capo del Norm».
In pratica ha avuto tra le mani i fatti che hanno riguardato Imola e dintorni negli ultimi trent’anni. Come è cambiata la città?
«Penso di essermi occupato di un migliaio di casi – risponde Giordano -. Una volta la delinquenza era più locale. C’erano “tossici disperati” ma anche professionisti del crimine, specializzati ad esempio in rapine. Li conoscevamo per nome e cognome. Ora la società è cambiata. Alcuni dei malviventi dell’epoca sono morti per aids od overdose. Altri criminali più “stanziali”, alcuni dei quali si ritrovavano spesso in un bar di viale Carducci, sono stati sostituiti da bande, anche di stranieri, che passano sul territorio e rubano. Spesso ci capita di identificarli quando sono già lontani. Di positivo c’è che una volta era più facile che un rapinatore sparasse, oggi non accade praticamente più».
Tra i fatti rilevanti di cui si è occupato ci sono sicuramente alcuni omicidi.
«Ne ho seguiti una decina, la maggior parte a sfondo familiare, storie talvolta molto tristi. Penso ad esempio al nipote che nel dicembre del 1994 uccise la nonna a Ponticelli dopo un suo rifiuto a prestargli dei soldi – racconta Giordano fissando l’articolo scritto su sabato sera a firma di Carlo Lucarelli -. Alla fine, fu fondamentale l’analisi del dna, era uno dei primi casi all’epoca. Noi eravamo convinti che l’assassino dovesse avere le scarpe sporche di sangue e abbiamo trovato un paio di suoi anfibi sui quali c’era il sangue della nonna. Sono occorsi un paio di mesi di indagine, ma ne è valsa la pena. Per le modalità con cui la conducemmo sembrava “da libro giallo”, come scrisse Lucarelli nel titolo dell’articolo».
Anche nel più recente omicidio dell’imprenditore Lanfranco Chiarini, avvenuto nel gennaio del 2017 nella sua villa a Palesio, sulle colline di Castel San Pietro, è servito l’esame del dna.
«Quello ha dato la conferma, ma l’indagine era partita dai tabulati telefonici e dalle immagini delle telecamere sulla via Emilia. E’ uno dei pochi casi in cui il responsabile del fatto, il ventiquattrenne Desmond Newthing, che è ancora in attesa di giudizio, non è un parente».
Lo stesso è avvenuto per l’assassino di un altro imprenditore, Adelmo Soglia, nell’agosto del 2010. Il responsabile, il polacco Rizsard Kolenda, era stato arrestato nel settembre del 2012 in Polonia. Dopo la sentenza di assoluzione in primo grado, però, è stato scarcerato e da allora se ne sono perse le tracce, sebbene la sentenza d’appello nel 2015 abbia ribaltato tutto, condannandolo a 30 anni di carcere. Ha qualche rimpianto per la gestione di questo caso?
«Il nostro lavoro l’abbiamo fatto e abbiamo risolto il delitto – è categorico Giordano -. Purtroppo ora Kolenda è latitante. Piuttosto, fui molto dispiaciuto per la mancata soluzione dell’omicidio di una sessantaseienne a Castel San Pietro (la donna fu trovata nella propria abitazione con il capo sfondato nell’ottobre del 1993, ndr)».
C’è qualche caso non risolto che le sarebbe piaciuto portare a termine?
«Quello del furto della corona della Beata Vergine del Piratello, avvenuto un paio di anni fa. Si trattava di una copia in metallo dorato (mentre quella «vera», in argento dorato, era custodita dalla Diocesi, ndr), quindi di valore limitato, ma è stato comunque un brutto gesto e non sappiamo ancora chi l’abbia commesso».
Molti cittadini si lamentano della presenza di poche pattuglie delle forze dell’ordine. Ad esempio, per quanto riguarda la polizia, anche il Sap lo scorso anno ha scritto al questore per lamentare la carenza di organico. Lei cosa ne pensa?
«Mi limito a parlare dei carabinieri. Le pattuglie ci sono e girano, ma in effetti negli ultimi anni non c’è stato un vero ricambio generazionale, è tangibile».
Di recente nel circondario imolese sono nati decine gruppi di allerta di vicinato «anti-ladro» che si scambiano messaggini. Pensa di iscriversi a quello del suo quartiere ora che è in pensione?
«Non ci ho ancora pensato. In generale penso possano funzionare. In ciascuno, però, servirebbe un referente per rapportarsi con le forze dell’ordine, ma soprattutto sono gruppi che devono limitarsi a osservare ciò che accade senza fare indagini, chiamando sempre le forze dell’ordine se necessario».
Ora come passerà le sue giornate?
«Fino a quando non compirò 60 anni intendo continuare a giocare a calcetto con gli amici – risponde ridendo -. Poi sono diventato segretario dell’associazione nazionale carabinieri (Anc) a Imola e vorrei anche iscrivermi a qualche associazione di volontariato».
L”articolo completo sul “sabato sera” del 25 gennaio.
gi.gi.
Nella foto: il luogotenente Giordano ritratto con la divisa l”ultimo giorno di lavoro