L’informatica è il domani, ma per chi studia è già l’oggi. Intervista a Emanuele Rossi, universitario e stagista per Google
“Si può dire che l’informatica sia il futuro, ma in verità, per chi la studia, l’informatica è già il presente”, esordisce Emanuele Rossi, ventunenne imolese e studente di informatica presso l”università inglese Imperial college di Londra, all’inizio dell’intervista via Skype che gli abbiamo chiesto per indagare quello che sembra essere il settore di studio e lavoro di più recente e rapido sviluppo.
Emanuele, anzitutto perché Londra?
“Ho iniziato a pensare a soluzioni alternative all’università italiana già in terza superiore, mentre frequentavo il liceo scientifico imolese. Avevo il sogno di studiare informatica negli Stati Uniti, ma lì le migliori università sono molto restrittive quanto a numero di studenti stranieri ammessi e proibitive per i costi. Così ho optato per una soluzione più accessibile ma che mi garantisse una buona reputazione nel percorso di studi e mi facesse crescere dal punto di vista personale e linguistico: le migliori università inglesi sono ben più note e quotate agli occhi delle grandi aziende e studiando lì anziché in Italia avrei avuto più opportunità per essere notato”.
Infatti la scorsa estate hai lavorato per Google…
“Esatto, per la precisione nel team del play store di Google, il luogo dove i due miliardi di utenti del sistema operativo per smartphone Android scaricano le applicazioni. Ho lavorato nel comparto strutturale per lo sviluppo e la programmazione del dietro le quinte dell’interfaccia che gli utenti navigano, quello che serve, in pratica, per rendere lo strumento efficiente per un grandissimo numero di persone contemporaneamente”.
Che esperienza è stata? Racconta…
“Ho fatto uno stage retribuito per tre mesi nella Silicon valley, dove Google ha la sede principale e dove l’ottanta per cento della popolazione lavora nell’informatica e nelle tecnologie. E’ stato come avverare il sogno che avevo alle superiori: un luogo, pur essendo un ambiente di lavoro nel mio caso, dove si impara tanto ogni giorno, anticonvenzionale per gli stan-dard italiani perché non ci sono orari e tutti discutono di tutto alla pari, compresi i capi. Ho conosciuto un ambiente di lavoro serio ma non stressante, anzi, stimolante e molto produttivo. Informatica non è stare ad un computer senza parlare con anima viva”.
Come hai ottenuto la possibilità di lavorare per Google?
“Tramite un application form (modulo di richiesta) inviato direttamente all’azienda, che poi mi ha preselezionato per un colloquio attraverso il quale mi ha valutato e scelto. Molto utile è poi stato avere una reference, una referenza firmata da qualcuno che già lavora per l’azienda in questione, ma non funziona come la cosiddetta spintarella all’italiana. Si tratta di un documento complementare ad application form e curriculum che permette all’azienda di scremare con maggiore facilità le tante richieste: Google, ad esempio, ne riceve un milione all’anno. E permette al candidato di ottenere più facilmente un colloquio. Ma da lì in poi il candidato viene giudicato solo sulla base alle sue abilità. La mia reference l’ha firmata Federico Galassi, un imolese che lavora per Google a Zurigo. Alla fine sono stato selezionato solo al termine di tre ore di colloqui. A mia volta, poi, ho scritto una reference per un’altra imolese, Matilde Padovano, che studia a Cambridge ed è già stata presa da Google per la prossima estate. L’azienda punta molto sui giovani in formazione”.
Tornando al tuo percorso di studi, di cosa ti occupi?
“Al momento sto studiando informatica generale, l’equivalente della triennale italiana. Sto frequentando il terzo anno e mi laureerò a giugno. Successivamente ho intenzione di specializzarmi in artificial intelligence (intelligenza artificiale) e machine learning (apprendimento della macchina), campo dell’informatica già affermato nel presente e che credo si svilupperà più di tutti gli altri nei prossimi cinquant’anni”.
Di che cosa si tratta?
“E’ un settore molto vario il cui obiettivo è quello di creare software in grado di imparare senza che vengano esplicitamente programmati. Le sue applicazioni vanno dalla personalizzazione del web alla reazione di auricolari in grado di tradurre da una lingua ad un’altra in tempo reale, agli assistenti personali digitali, all’auto che guida da sola, a software in grado di predire a quali malattie una persona sia incline semplicemente analizzando il suo dna. Ed è proprio quest’ultimo il settore che credo possa servire di più all’uomo e nel quale vorrei dare il mio contributo, anche se non voglio pormi limiti. Al momento mi sto già occupando di un progetto di intelligenza artificiale all’università: creare un software in grado di comprendere una persona ed i suoi gusti sulla base del suo profilo social su Instagram, un classico problema di machine learning, appunto. Per un essere umano è molto semplice fare delle ipotesi su una persona che non conosce sulla base di cosa le piace, cosa legge e cosa scrive, ma è davvero complesso per una macchina simulare il pensiero umano. Qualche esempio è già sperimentabile su Netflix (web tv a pagamento) o su Amazon (azienda di commercio online) che cercano di suggerire all’utente quello che potrebbe interessargli sulla base di quanto già visto o visualizzato”.
C’è qualcosa che da Imola ti porterai sempre dentro, ovunque andrai?
“Imola è la mia casa e mi ha insegnato tanto. Durante gli anni delle superiori, un’attività che mi ha fatto crescere tanto sono state le Olimpiadi di matematica ed informatica alle quali ho partecipato grazie al liceo scientifico. Sono state davvero un punto di svolta per me, perché mi hanno permesso di aprire gli occhi rispetto un livello più ampio dello studio e della conoscenza e al tempo stesso un livello più alto ed oggettivo della competizione e valutazione. Molte persone in gamba che conosco e che studiano e lavorano nell’informatica hanno partecipato alle olimpiadi al liceo. Con altri quattro imolesi, Francesco Capponi, Federica Freddi, Pietro Pelliconi e Andrea Dalmonte, ho anche creato un gruppo per condividere i nostri percorsi con gli alunni delle nostre ex scuole superiori e dare la possibilità agli studenti di ampliare gli orizzonti e scegliere consapevolmente quale strada seguire e dove. Io ho scelto Londra perché mi offre maggio-ri opportunità in campo informatico rispetto all’Italia, ma ogni disciplina presenta una vasta gamma di scelta fra università di alto livello. Insomma, non c’è solo Bologna, anche se è a due passi da casa. Oggi facciamo anche parte del progetto Mentors4U, iniziativa di mentoring (formazione) inizialmente dedicata agli universi-tari ma che grazie al nostro contributo si sta aprendo anche alle scuole superiori. L’obiettivo è quello di ripetere i nostri incontri nelle scuole non solo a livello locale, ma su scala nazionale”.
Confermi, dunque, che nell’informatica ci sono buoni sbocchi lavorativi?
“Per capirlo pienamente bisogna ampliare lo sguardo ad un orizzonte globale. All’estero è già il settore che dà i maggiori sbocchi lavorativi. L’informatica è tutto oggi”.
Nella foto: l”imolese Emanuele Rossi, primo a destra, al campus di Google con alcuni colleghi stagisti vicino alla statua simbolo di Android Imola